Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona…
11 giugno 1984, muore Enrico Berlinguer.
I funerali si svolgono a Roma, con il sottofondo di un mare di cuori che inonda Piazza San Giovanni.
Se ne va un punto di riferimento morale per l’intero Paese, anche per i non simpatizzanti del vecchio PCI di cui egli fu eletto segretario nel 1972 e che riuscì a rendere l’ariete scalzante di una DC roccaforte di un potere cieco.
Con lui comincia a divenire moderno, lanciando lo sguardo ad una società del futuro che poggiasse veramente sui principi di libertà ed eguaglianza.
Era sardo Enrico, nato a Sassari il 22 maggio 1922 e aveva nel carattere tutte le peculiarità di un popolo unico, serio ma non serioso, aspro ma non rigido, sincero ma non irrispettoso.
Un ictus lo colpisce durante il celebre comizio dalla piazza della frutta di Padova il 7 giugno, si accascia fendendo gli ultimi colpi di fioretto non sola alla “ signora vestita di nero”ma a quella Italia degradata, corrotta, quella della P2 per intenderci alla quale lui, leader indiscusso e grande icona comunicativa, ne contrapponeva una nuova che avrebbe portato in Europa un paese diverso e nascosto, quello a testa alta.
L’Italia della gente perbene, l’Italia onesta, l’Italia della cultura, l’Italia delle donne a cui lui affida il compito di cambiare la società non più dai margini della stessa.
La folla che lo acclama al grido Enrico, Enrico consente le pause di un match che sta conducendo con la sciabola della parola, beve, si passa il fazzoletto ad accarezzare fronte e labbra. Immagini che resteranno nella storia perché lui lo deve concludere quel discorso, deve congedarsi lasciando le ultime volontà: democrazia, lavoro e progresso.
È morto, titolerà L’Unità, sottintendendo i tre giorni di attesa ma anche sottintendendo lui, colui che doveva essere la speranza finale di un podio che tutti ci saremmo meritati.
“ È morto un buon comunista” scriverà Il Manifesto di Luigi Pintor, capo della corrente estremista che fu radiata dal PCI.
Coabitando oggi sotto cieli di meteore di carta, le critiche che venivano fatte ad Enrico Berlinguer di essere troppo moderato, di non sposare con energia la causa di una lotta radicale contro il capitalismo, di non avere abbastanza capacità di elaborare strategie economiche, sembrano aghi nel pagliaio.
Oggi che i limiti della nostra classe politica sono confini di spazi ridotti dove le citazioni twitteriane si alternano a vaniloqui travestiti da pseudo impegno sociale, Berlinguer diventa un gigante a due teste.
E noi continuiamo a volergli bene.
Ciao Enrico.