IL BUONGIORNO SI VEDE DAL MATTINO – 3

La cabala del Comune di Penne

Le prodezze del comune di Penne farebbero la loro figura in un corso universitario in materie giuridiche, per esempio in storia del diritto “terrone”, perché in quella del diritto italiano si farebbe fatica ad accettarle! Le giuridicolaggini nelle quali spesso consistono sono, infatti, così singolari da suscitare, sicuramente sdegno, anche per la lauta parte di stipendi assorbita per prepararle, ma anche molta curiosità.

Ieri, all’insediamento dei neo-consiglieri comunali è stata consegnata loro una cartellina grigia, un colore che ben rappresenta la sciatteria di un documento che vi era inserito: lo Statuto comunale. O meglio, quello che sarebbe lo Statuto, così articolato. Dall’art. 3 si salta direttamente all’art. 4bis, dall’art.51 all’art.53 e dall’art.68 si passa all’art.70. Può bastare, al momento, per descrivere le giuridicolaggini statutarie riscontrate nella testo distribuito ai consiglieri. Un esordio, il loro, all’insegna della precisione, trasparenza e professionalità, sempre esibite con puntualità svizzera da “Suapucbassasabina“, il locale Palazzo (rectius, stamberga) del “podere”. Nessuna meraviglia! In una recente ordinanza sindacale, si legge: “Il sindaco..vista..vista.. decreta..4) Ai fini della massima trasparenza e dell’accessibilità totale (art. 11 D.lgs. nr. 150/2009), di pubblicare in modo permanente copia del presente atto sul sito istituzionale dell’ente“. Peccato che i punti del dispositivo erano solo tre e non quattro e che l’art. 11 del d.lgs 27 ottobre 2009, n.150 non esista (fu abrogato)! Due chicche in un stesso atto! E’ la “legalità” a buon mercato di un ente che è riuscito persino a vendersi un pezzetto della sua Piazza principale, senza troppo clamore. Naturalmente, rimane la curiosità di sapere cosa mai ci fosse scritto negli artt. 4, 52 e 69 dello Statuto da consigliarne l’omissione: refusi di stampa, notizie classificate, roba da “nulla osta segretezza (nos)“, cabala comunale, colpi di sole nel giorno del solstizio d’estate, ieri 21 giugno, o misteriosi disturbi indotti dalla “luna di fragola” dei giorni passati? Lacerba, direbbe il Poeta, “legalità va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei peperoncino annuncia di voler mettere nelle segrete parti di ignota gente”. L’evocazione da suburra non è del Sommo, ma una leziosità stilistica oxfordiana riecheggiata nel vernacoliere locale. Lacerba, intanto, solleva la questione e invita tutti i consiglieri comunali a non precipitarsi a Palazzo a protestare per la “lesa maestà” subita per via dello Statuto cariato messogli nelle mani. La testata sta lavorando, infatti, anche per loro e si riserva altri contributi ed eziandio (hai visto mai!) la soluzione del rebus, il quale non è detto che riguardi solo quelle cangurate. Altre amenità potrebbero emergere da quel testo fallato. Nessun allarmismo, però. D’altronde, al comune di Penne “a cu minchia serve lu Statuto“? In fondo, parliamo di comune che s’immagina d’essere come il Re di Gioacchino Belli. “C’era una volta un Re cche ddar palazzo mannò ffora a li popoli st’editto: Io so’ io, e vvoi nun zete un cazzo, sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto. Io fo ddritto lo storto e storto er dritto..“. Ma dove lo trovate un Municipio così bello: “’O cchiù bello e tutt’i belli, nun è maje cchiù bello ‘e te“!

Giovanni Cutilli

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