Prefazione a cura di Fabio Martini
Addentrarsi tra le pagine di Oltre la speranza è come entrare in una miniera ricca di materiali preziosi. E al termine del percorso ci si ritrova diversi: arricchiti da scoperte inattese. Pagina dopo pagina scopriamo come la grande storia dell’Ottocento nazionale e internazionale, ad un certo punto, entrò in uno dei centri più importanti degli Abruzzi, coinvolgendo e interessando tanti suoi abitanti: alcuni parteciparono direttamente, altri assistettero ai sommovimenti, altri ancora commentarono. Una opinione pubblica esisteva, eccome, anche quando non c’erano i Social.
Grazie alla guida sapiente di Marcello Camplese scopriamo eventi che vivono di luce propria: perché belli e interessanti in sé. Altri si impongono invece alla nostra attenzione per la loro attualità. Perché sono talmente universali che riescono a parlare direttamente a noi cittadini del ventunesimo secolo.
Certo, questo romanzo storico tinto di giallo ci restituisce soprattutto il profilo a tutto tondo di un personaggio, il pennese Domenico De Caesaris, che resta la personalità più rilevante del Risorgimento abruzzese. Nei decenni successivi alla sua scomparsa, la storia del patriota pennese sarà tramandata in tutta la Regione, oltreché nella città vestina: una vicenda personale e storica rivisitata via via nei racconti dei docenti delle scuole, in quelli più intimi delle famiglie, in quelli degli storici.
Ma ora arriva la consacrazione che merita: diventare il protagonista di un romanzo. Intendiamoci, un romanzo che rispetta gli eventi storici e li rivisita soltanto con qualche licenza poetica: essendo un romanzo concentrato su figure vere e concrete, l’autore non sconfina mai nel romanzesco. O nel fantasioso. La storia è arricchita da pennellate umane e da un finale a sorpresa.
Romanzo storico con una venatura gialla ma anzitutto romanzo di personaggi, di ambienti e di azione. Descritti con arte da Marcello Camplese che nella sua vita lavorativa si è sempre misurato con le speranze del prossimo e che in questa occasione mette a frutto la sua esperienza umana, rivelando una vena creativa che preannuncia già nuovi cimenti. Camplese porta per mano il lettore, partendo dal microcosmo locale e sapendo creare suspence attorno al protagonista.
Domenico De Caesaris è personaggio interessante per tanti versi. Certo, l’Ottocento fu popolato di personalità disinteressate, che per amore di un ideale erano pronte ad immolare la propria vita sull’altare di una missione superiore. Si dirà: personaggi di questo tipo sono sempre esistiti. E’ vero, ma nell’Ottocento ancor di più. Perché esistevano allora tre moltiplicatori che alimentavano le vite avventurose e i gesti eroici.
Anzitutto il Romanticismo, che per vie carsiche, artistiche e politiche iniettò dosi di sentimentalismo destinate ad infiammare le anime più sensibili. C’è poi la dominazione straniera e di conseguenza l’anelito di tanti verso la libertà e verso una patria da conquistare necessariamente col sangue. Obiettivi che vengono alimentati – ecco la terza spinta all’eroismo – da movimenti politici e società segrete. Come la Carboneria e la Massoneria che era un’associazione che ebbe un ruolo spesso sottovalutato nel raggiungimento dell’Unità italiana.
De Caesaris, come si sa, era patriota e le sue gesta meritano di essere scoperte seguendo il palpitante racconto tracciato dallo scrittore, un racconto che corre tra fughe, camuffamenti, brevi ritorni a Penne, mance ai compaesani per spingerli al silenzio, la caccia delle guardie borboniche che arrivano a setacciare i muri di casa De Caesaris, allo scopo di individuare il “vuoto” che possa portare al nascondiglio del fuggitivo. E ancora: sposamenti di truppe, tradimenti, taglie, sommosse popolari, epidemie, spie, doppiogiochisti.
De Caesaris, oltrechè massone, era anche cattolico, come la grande maggioranza dei suoi contemporanei. E qui veniamo al secondo aspetto intrigante del romanzo: la ricostruzione d’ambiente. Ogni tanto i personaggi parlano in dialetto e per chi legge, sarà un piacere districarsi tra espressioni così secche e forti, un’esperienza interessante non solo per chi conosce ogni segreto della lingua “madre”. Bene hanno fatto autore ed editore a rinunciare alla “traduzione istantanea”: perché queste (non frequenti) irruzioni del dialetto si preannunciano come un piacere in più anche per il lettore al quale sfuggisse subito il senso: sarà un modo per scoprire o riscoprire termini dimenticati.
E poi c’è la dimensione intima: il grande universo cattolico, con le sue preghiere, le messe, le campane che suonano ad ogni ora. La sagoma del Gran Sasso che sovrasta l’area vestina. Le lenzuola di lino portate in dote. Donne sacrificate dalle vite avventurose dei propri mariti. E infine, l’irruzione della “grande storia”. Ma in questo caso non si può togliere la sorpresa al lettore. Perché la storia che il vecchio Domenico racconta in un angolo silenzioso di Penne è un segreto che il patriota oramai al crepuscolo della sua vita, affida al nipote Francesco, figlioccio si diceva allora. Ed è un segreto indicibile in pubblico, un segreto arrivato sin lì, nel cuore dell’Abruzzo e che chiama in causa personaggi mitici: i protagonisti della grande impresa che fu l’ unificazione dell’Italia. Un Paese che prima di allora era stato soltanto un nome.