LACERBA: LE PICCOLE RECENSIONI DEI NOSTRI LETTORI E DEI REDATTORI

In un tempo sospeso che ormai da due anni si dilata costringendoci ad una vita più solitaria, leggere un libro ci sembra quanto di più necessario per allontanarsi, Uscire dalla nostra visione del mondo ed entrare in un’altra visione del mondo come dice Galimberti. Dal mese di ottobre  dedichiamo una pagina del nostro giornale alle piccole recensioni che ci vengono inviate dai nostri lettori o che ci consigliano gli stessi redattori, dai classici ai nuovi editi ai libri dedicati all’Abruzzo o scritti da abruzzesi. Se avete anche voi un libro da suggerire scrivete la vostra recensione (max 300 parole) e inviatela a info@lacerbaonline.it

Dino Buzzati
La boutique del mistero – 1968
Arnoldo Mondadori Editore, 1968, pp. 176

La morte. Tutti gli artisti hanno affrontato questo tema, dal melodramma alle potenti Messe da Requiem, dalle sculture delle deposizioni di Cristo ai funerali di New Orleans accompagnati da complessini jazz, ai quadri, fino ad arrivare al cinema ed ai maestri della fotografia. Nella scrittura Dino Buzzati ha incantato i suoi lettori con questa raccolta di racconti, nei quali la morte è un filo conduttore. Il brigante Planetta, che si immola per coronare il suo sogno dell’assalto al Grande Convoglio, la follia della fuga e dell’inseguimento nel “Colombre”, la grandezza di una piccola e insignificante vita ne “Lo scarafaggio”, l’introspezione e l’autocoscienza ne “Le gobbe del Giardino”, il rimpianto per il rapporto con la madre in “I due Autisti”, l’assurdo di “Ragazza che precipita”. “Il tiranno malato” mette nudo la vera paura di Buzzati, la paura della malattia, proprio la malattia che porta al disfarcimento ed alla proliferazione impazzita delle cellule. Il cane Tronk, che terrorizza con la sua sola presenza gli altri cani del vicinato e i suoi padroni, all’improvviso non incute più timore. I suoi simili sentono con l’istinto che lui non è più invincibile, e allora lo attaccano senza pietà, lo mordono, ma poi rifuggono inorriditi, perché sentono il sapore del nemico imbattibile. E lui si rende conto della fine, e vede avanzare verso di lui “funerei, i rinoceronti della notte”, una immagine di terribile folgorante bellezza. E proprio quella malattia fece concludere l’esperienza terrena di Dino Buzzati, uomo tormentato, amareggiato e insicuro ma sicuramente una delle voci più importanti, lucide e originali del ‘900, che con una scrittura scarna, moderna ed evocativa del suo dramma interiore ci ha regalato questo piccolo capolavoro. Michele Cardarelli

Willliam Burroughs
Pasto nudo – 1959
Gli Adelphi, 2012, pp. 288

Questo romanzo, in parte autobiografico, di William Borroughs, quando venne pubblicato non fu capito, fu preso come la continuazione sempre più delirante del precedente “La scimmia sulla schiena”, alcuni addirittura lo considerarono una presa in giro. Jack Kerouac con “Sulla strada” ci ha raccontato la vita dei devianti e dei disadattati degli anni ’50, in una America bigotta e in piena ascesa economica, pronta a diventare, nell’immediato dopoguerra, il paese più potente del mondo. Allen Ginsberg con il suo “Howl” vomitò tutte le ingiustizie e le incongruenze di un paese che aveva al suo interno le più grandi disparità fra le persone, fra ricchi e poveri, fra bianchi e neri, fra uomini e donne. Ne “Il pasto nudo” Borroughs va oltre. L’eroinomane Lee, protagonista e suo alter ego, attraversa il libro come una fantasma, capace di passare dieci ore di fila guardandosi la punta delle scarpe in attesa che la clessidra della droga faccia ripartire il suo orologio biologico. Non gli interessa più l’America, la guerra, la fame nel mondo, il denaro, il sesso, neanche la vita o la morte. Gli serve solo vedere la punta dell’ago che entra nel suo corpo per nutrire le sue cellule in astinenza. Borroughs prende a pugni lo stomaco del lettore con una scrittura cruda, non risparmia descrizioni di bassezze e immagini disgustose, di squallore e di meschinità, di paura e di incoscienza, di violenza e di vigliaccheria. Il suo sguardo è quello di un entomologo che guarda degli esseri umani come si potrebbe guardare un insetto infilzato in una teca. Quando un suo conoscente soprannominato Il Semplicione, anche lui drogato all’ultimo stadio, muore, l’unico pensiero che riesce a esprimere è: “dove vanno quando si lasciano dietro il corpo ?” E’ il ritratto di un uomo senza futuro, che però quel futuro non lo cerca e non lo vuole. Il suo è un rifiuto totale della società e delle sue regole, ed in questo lo scrittore è tutt’uno con il protagonista dei suoi libri. Michele Cardarelli

Italo Calvino
Il sentiero dei nidi di ragno
Torino, Einaudi 1947, pp. 212

Con il suo primo romanzo, pubblicato da Einaudi nel 1947, Italo Calvino continua ad ammonire il lettore ad essere partigiano nella vita, a lottare sempre per sconfiggere il buio e a non arrendersi a trovare mai, in quello e oltre quello, l’amore. Il sentiero dei nidi di ragno è un libro che ci riporta indietro nel tempo, al 1945, rendendoci partecipi della Resistenza attraverso gli occhi e il parlare sboccato di un fanciullo di nome Pin. A stagliarsi, sullo sfondo della guerra che imperversa, è la gracile figura di un ragazzo lentigginoso, che ha la «voce rauca da bambino vecchio», privo di genitori e fratello di una prostituta. Pin non ha compagni della sua età, tracanna già bicchieri, «inghiotte fumo» e per allontanare la «nebbia di solitudine che gli si condensa nel petto» ha imparato un gioco: far ridere gli adulti con le sue canzoni oscene e farli imbestialire con la sua ironia velenosa. L’emarginazione ha costretto Pin a diventare «amico dei grandi», perché questi sono più facili da prendere in giro rispetto ai suoi coetanei. Degli uomini, Pin conosce i segreti e le debolezze: il fumo, il vino, le donne e le armi. Tuttavia per il ragazzo, nelle azioni e nelle parole degli adulti, rimane sempre una zona d’ombra, fatta di mistero, incomprensibile ed imprevedibile. Pin non comprende, ad esempio, come possa una donna attrarre i grandi più del venire a conoscenza di un segreto, come quello che lui custodisce e che soltanto un “vero amico” verrà a sapere. Le pagine scorrono veloci sotto alle dita voraci, tra la vista dei morti e quella delle lucciole, tra gli scoppi delle bombe e il rumore del mare, tra il pro- pagarsi delle polveri e il tocco di una mano «calda e soffice» che sa di casa e di vita. Pin sa bene che il mondo è fatto come la luna: c’è un lato che è illuminato, bello e magico e un altro che è al buio, reso crudele e doloroso dagli uomini. Il trucco sta nell’impedire ai grandi di spegnere la luce. Domitilla Mazzella

Letture d’Abruzzo

Omerita Ranalli
Canti e racconti dei contadini d’Abruzzo Le registrazioni di Elvira Nobilio (1957- ‘58) 

squi[libri], 2015, + CD

Pubblicato a fine 2015 da Squilibri nella collana I giorni cantati (che ha il merito di diffondere i materiali sonori raccolti nell’Archivio sonoro “Franco Coggiola” del Circolo Gianni Bosio), il volume contiene le registrazioni condotte alla fine degli anni Cinquanta da Elvira Nobilio, giovane laure- anda in Storia delle tradizioni popolari alla Sapienza, nella cattedra diretta da Paolo Toschi.
Di ritorno dalla Sicilia, dove aveva preso parte alle attività di Danilo Dolci a Parti- nico, Elvira Nobilio decide di dedicare la propria attenzione agli usi tradizionali dei contadini abruzzesi della campagna di Penne (PE); raccoglie così, con un piccolo magnetofono preso in prestito dai vicini di casa e servendosi della mediazione di una coetanea, Antonietta Ciantra (domestica in casa dei genitori, entrambi maestri ele- mentari in paese), numerose interviste e storie di vita, fiabe e racconti tradizionali, oltre ad un vasto repertorio cantato, parzialmente ancora in funzione. La tesi di laurea fu poi edita nel 1962 in un volume della “Biblioteca di Lares” – E. Nobilio, Usi tradizionali dei contadini abruzzesi della campagna di Penne, mentre i materiali sonori della ricerca sono rimasti a lungo inediti: custoditi in soffitta, sono poi sta- ti donati dalla ricercatrice al Circolo Giani Bosio, che ne ha curato la digitalizzazione e catalogazione. L’appendice del volume, curata da Enrico Grammaroli, illustra il percorso di recupero dei nastri, spesso deteriorati e irrimediabilmente compromessi: alcuni, infatti, risultano essere copie artigianalmente condotte di originali perduti, forse consegnati all’università insieme alla tesi di laurea, altri nastri, i cui contenuti sono presenti nelle trascrizioni del volume del 1962, sono invece del tutto scomparsi. Assieme ai nastri, la ricercatrice ha donato all’archivio gli scatti fotografici realizzati durante la ricerca, parzialmente pubblicati nel volume. (segnalato da Andreas Waibl)

Donato Di Vincenzo
Se tu
Edizioni Montag, 2020, pp. 218

Il libro di Donato di Vincenzo è ambientato nel 1933 in una Germania preda del nazismo, il protagonista Robert Levy, rampollo di una famiglia di imprenditori ebrei, vive un’esistenza monotona e legata a quella della governante Clara Obbermaier verso la quale da sempre prova un’attrazione, spenta dal matrimonio con Anna Smith Speed. La storia dei due arriva fino al 1938 alla vigilia della seconda guerra mondiale. Tutto è perduto: la comunità ebrea, i loro amici, la quotidianità. Stretti l’un l’altro dal sentimento, Robert e Clara decidono di trovare riparo in Svizzera con l’aiuto di due preti coraggiosi. Ma su di loro incom- be la minaccia delle azioni delle S.S. È una storia, quella che ci racconta il dottor Di Vincenzo, molto conosciuto a Loreto Aprutino, in cui sentimenti e le debolezze e le passioni si mescolano in un vortice tra il bene il male non lesinando sorprese ed emozioni.

 

 

 

 

 

 

 

Luciano D’Angelo
Uomini e zafferano
Pescara, LD Edizioni 2021, pp. 156

Uomini e Zafferano è il nuovo gioiello editoriale di Luciano D’Angelo impreziosito dai diamanti delle parole di Carlo Petrini, scrittore, sociologo e fondatore di Slow Food e di quelle del professor Ernesto Di Renzo, docente di Antropologia presso l’Università Tor Vergata di Roma. A circa tre anni dal suo ultimo lavoro L’altro Abruzzo, D’Angelo ritorna sul campo d’indagine che gli è più caro, quello del legame antropologico tra paesaggio e comunità di mestieri, piegando la vista alla lente fotografica ma in un certo senso liberandola nella stessa fotografia, così che l’immagine sconfini lo spazio e diventi un processo culturale aperto, non più di rappresentazione ma di vita. L’impianto, di circa 60 foto, è costruito sul dialogo tra il viola del fiore dello zafferano, la cui coltivazione abruzzese si concentra nelle rinomate piane di Navelli (AQ) ed il giallo della polvere ricavata dagli stimmi del fiore, non a caso privilegiato dalla denominazione D.O.P. e considerato il miglior zafferano al mondo. D’Angelo, dall’osservatorio in centimetri dell’obiettivo della macchina, riesce a rendere il dialogo un documento di bellezza, tra il processo di fioritura del miracolo naturalistico che incontra le mani degli uomini e delle donne dediti a coltivazione e raccolta e, nella seconda parte del libro, quello di cinque chef stellati che rivelano l’uso dello zafferano in cucina, incontro tra spolvero di stelle e, stavolta, tra mani che pensano, creano, assaggiano e condividono. Gli chef sono: Niko Romito, Willian ZonfaNicola Fossaceca, Marcello Spadone e Peppino Tinari. L’eleganza e la bellezza del manufatto, così potremmo definire il libro, perché la forma segue sempre la qualità della prestazione a cui è destinata, godono di un biglietto da visita che traducono i concetti editoriali nel linguaggio pittorico. La copertina del libro, infatti, è un omaggio del pittore, grande fumettista abruzzese, Tanino Liberatore, inizio e fine della forza dell’incanto di un fiore sorretto da due mani. S.d.L


Riccardo Valdesi
Oltre le vette

Treviso, BRÈ Edizioni 2020 pp.158

Quale misterioso percorso può aver guidato sui luoghi montani di un Abruzzo semplice, schietto e bellissimo, i passi di Henry Nichols, affermato e potente manager abituato a sorvolare i continenti con la stessa disinvoltura di chi, al mattino, esce di casa per recarsi in ufficio? La sua storia si dipana sulle ali del ricordo, alla fine di una lunga e profonda crisi esistenziale che lo ha travolto dopo la tragica fine di un grande amore: quello vissuto con Yumi, l’affascinante artista di origine giapponese conosciuta a Parigi, della quale custodisce un ricordo incancellabile e struggente. Durante una vacanza natalizia sui monti abruzzesi, per lui luoghi di pace e di fascinazione, Henry, grazie ad una strana fatalità, ripercorrerà i momenti più importanti della vicenda sentimentale, provandone un dolore talmente intenso da sfiorare lo stato allucinatorio. La pace di quei luoghi meravigliosi e la semplicità della gente saranno il contraltare della sua disperazione. La notte di Natale, spinto da un impulso incontrollabile, egli lascerà gli amici riuniti in casa per l’occasione, e si lancerà alla ricerca dell’ignoto che sconvolge la sua mente. Sarà un evento improvviso a stravolgere la situazione: per Henry, il momento della verità. Sarà il momento in cui tanti dubbi, incertezze, intemperanze, troveranno il loro naturale approdo, con una simbolica riconciliazione verso se stesso, anche grazie alla splendida natura che lo circonda, bellezza incomparabile che gli darà nuove energie e nuove prospettive. Ancora, sarà la disinteressata generosità di Domenico, il caro amico del paese, a venirgli in soccorso nel momento più buio e disperato. Saranno quei monti d’Abruzzo, con la natura indomita delle loro genti, a compiere il miracolo. Romanzo intenso, che scava nella psicologia dei personaggi, tratteggiando figure indimenticabili, scolpite quasi fisicamente nelle loro caratteristiche salienti. Su tutti, un Henry Nichols sperduto e ritrovato, che attraverso la sofferenza indicibile di un legame spezzato in modo tragico e crudele, ritrova se stesso e le verità più profonde dell’esistenza. Un viaggio affascinante nei sentimenti più puri ed essenziali dell’esistenza umana, nel mistero e nel fascino di un Abruzzo descritto senza citare luoghi precisi, perché ognuno possa immaginarli come meglio desidera.

 

 

 

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