FESTIVAL DANNUNZIANO: IL COLORE VIOLA (NTE) DEL MITO DI CLITEMNESTRA
Una serata di memorabile teatro all’Aurum di Pescara

 

Successo pieno per la quarta serata della settimana dannunziana, terza edizione dell’anno 2021, seppur il mancato appuntamento delle ore 18.00 con la presentazione del libro ‘Studi su Gesù’ di Angelo Piero Cappello, rinviato a data da definire, ha condotto il clou della giornata al definitivo calar del sole ed all’accensione delle luci del palcoscenico su di un altro evento molto atteso, lo spettacolo ‘Clitemnestra’,  prodotto dal Teatro Stabile d’Abruzzo preseduto da Pietrangelo Buttafuoco che, come un moderno burattinaio dei pensieri illuminati, ha curato l’intera filiera mettendo a disposizione del regista Giuseppe Dipasquale ed all’anima di Viola Graziosi, il testo che Luciano Violante, Presidente della commissione antimafia dal 1992 al 1994, ha scritto nei mesi del tempo sospeso causato della pandemia, ragionando sulla idea di giustizia e riscrivendo la tragedia della regina di Micene che, ucciso il marito Agamennone, reo di aver sacrificato la figlia Ifigenia alla dea Artemide, a sua volta verrà ammazzata dal figlio Oreste tornato in patria e pronto a vendicare la morte del padre.

Da sx: Dipasquale, Violante, Buttafuoco, Catenacci, Sospiri, Biondi

Iprogetto ha avuto la sua première nel mese di luglio all’interno del Festival “I Cantieri dell’Immaginario” promosso dal Comune dell’Aquila e ieri sera, sul palco dell’Aurum, accolto da Lorenzo Sospiri è arrivato anche Pierluigi Biondi che ha portato alla città di Pescara il saluto di solidarietà di tutti i cittadini aquilani, per la tragedia dei fuochi estivi che, nella pineta dannunziana, ha colpito una delle radici culturali dell’intero territorio d’Abruzzo.

La messa in scena è stata preceduta dall’introduzione  del professor Carmine Catenacci, Direttore del Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali dell’Università degli Studi d’Annunzio, che, con l’oratoria affabulatrice che caratterizza il gradimento noto da parte dei suoi studenti, ha accompagnato la platea nel racconto dei miti della Grecia antica, nell’importanza del loro studio e conoscenza, della loro ricostruzione nella società contemporanea perché, citando Sallustio, se queste cose non avvennero mai, sono sempre.

Cominciamo col dire che il testo di Violante è bellissimo, De-costruisce il mito di Clitemnestra proprio partendo da quel “sempre” che nel fatto teatrale si immola. Io ho già visto quello che vedrò. Ho già vissuto quello che vivrò. Questa è la mia pena” sono le parole che chiariscono da subito l’operazione drammaturgica che non ha solo scopo dell’attualizzazione del mito  – è lo stesso Catenacci a metterci sull’allerta di un pericolo di eccesso di attualità– ma renderlo movimento,  prosecuzione del camminare della donna prima verso la morte e poi oltre verso la scelta di non ritornare. Persino la domanda come abbia fatto un uomo a scrivere delle parole così femminili diventa inutile, tanto forte ed esclusiva è quella etica su come soddisfare una idea della giustizia senza Olimpo e senza Tribunale, prima del sacro, prima del profano. Clitemnestra non si sente colpevole, sa di aver commesso un crimine terribile e lo racconta al pubblico così come è accaduto: ha ucciso Agamennone e Cassandra, scende nei particolari, non tralascia neanche un colpo di lama, ma rivolgendosi allo stesso, che entra così nello spettacolo nel ruolo del mondo-popolo, chiede come può, come possiamo noi non sentirci altrettanto responsabili della assoluzione di Oreste quando anche lui ha compiuto l’infame delitto del matricidio, forse meno grave di un uxoricidio? La risposta di una equa giustizia non giunge neanche dalla qualità del reato, è la stessa donna a non accettare  lo sconto pena offertogli dalla maternità seppure renda il dolore un coltello che entra dall’intimo del corpo e arriva fino al cuore!  La rivoluzione della Clitemnestra di Violante è proprio questa, il rifiuto di un destino che decida per Lei o che gli consenta una scappatoia: scontati i 10 anni fuori dall’Ade sarà l’incontro con il capitano Achab e della sua baleniera Pequod a farle decidere di salire a bordo, a decidere di voler lei dare la caccia al suo destino prima che sia lui a cercarla. Oreste, Achab ed il destino, sono gli elementi maschili che si contrappongono e delineano la scelta dell’autore di quale magistrato abbia voluto essere: la giustizia non la troveremo né nella morale né nel giudizio dei tribunali ma solo nel cambio di paradigma di una società che si rigeneri attraverso la Cultura, la letteratura, la conoscenza, che proprio nell’atto estremo della commissione del reato sappiano indicare la via per ricostituire la relazione umana, tra giudice e condannato, tra uomini e donne, tra istituzione e cittadini.  

Per far volare le parole scritte e renderle fatto eterno teatrale, ci volevano un ottimo regista ed un corpo e voce che “tirassero il vento”: Giuseppe Dipasquale e Viola Graziosi hanno compiuto la magia del silenzio, quello che Dario Fo scherzando descriveva quando neanche un colpo di tosse arriva dagli spettatori. La platea dell’Aurum ha seguito tutto in apnea collettiva e bene ha fatto il regista a manifestare il suo pensiero nei gesti e nei registri vocali dell’attrice. Ne è uscito rafforzato, come spesso accade in teatro quando si agisce sapientemente per sottrazione: la lettura nei feticci scenici è chiara, come il collant bucato e sfilato di lei che entra dal fondo del corridoio centrale, come una mendicante reduce da una camminata tra i rovi o la bambola, gioco della figlia morta e figlia stessa partorita da una sacca di tela o la scaffalatura di libri messi in disordine perché qualcuno veramente li legge.

Viola Graziosi si rivela interprete straordinaria, la materializzazione di una cascata di capelli biondi della più bella definizione data all’attore da Antonin Artaud “un atleta del cuore”, la voce che è prosecuzione del corpo permette la leggerezza della profondità. Il ritmo è nell’emissione vocale, quasi canta, quasi danza. Tanto è generosa nel concedersi completamente a Clitemnestra, tanto il suo sparire nel fondo platea volando sul modello di veliero- altro feticcio di sublimazione teatrale– materializza il dispiacere del risveglio dalla verità del teatro. E la suggestione catartica la porteremo a casa, come la certezza che l’intero progetto, inserito felicemente nella settimana dannunziana, è la chiave che sta lì, nella toppa di un portone, e basterebbe solo girarla. Dietro c’è il teatro vivo e vegeto e, seppur nell’alternanza di periodi bui a quelli meno bui, mai morirà finché anche un solo respiro di un attore riuscirà a compiere il miracolo. Quello che manca è la visione politica pronta a rischiare il tutto per tutto nel renderlo il vero anello di congiunzione tra Cultura e Società, una società che ne uscirebbe sicuramente migliore e più giusta.

Scopri tutti gli eventi:  http://dannunzioweek.it/#home

 

Sabrina De Luca

 

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