ABRUZZO: I NOSTRI ULIVI ALLE PRESE CON I CAMBIAMENTI CLIMATICI
Parola all’esperto Luciano Pollastri

Di particolare interesse ed attualità rivestono le problematiche connesse ai cosiddetti cambiamenti climatici, che stanno interessando sempre più l’ecosistema ed in modo evidente e preoccupante la vita delle specie vegetali e tra queste di quelle agrarie oggetto di coltivazione da parte dell’uomo. Tra queste interessante è la risposta dell’olivo, pianta mediterranea e sempreverde, che rappresenta un utile indicatore della incidenza di tali cambiamenti sugli aspetti biofenologici delle piante e della risposta di queste alle sollecitazioni ambientali. L’olivo proprio per la sua caratteristica di essere pianta sempreverde a ciclo produttivo annuale, meglio di altre, evidenza quanto le temperature medie e le variazioni delle quantità di acqua da pioggia su scala annuale e stagionale possono interferire sulle fasi delicate della pianta, quali ad esempio la fioritura, la allegagione e la maturazione.

Come noto, la fioritura nell’olivo è la risultante della azione di una fase di induzione a fiore e della successiva differenziazione che pur sempre espressione di attività di ormoni specifici vegetali, auxine e gibberelline in primis, contribuiscono nell’arco temporale di quasi un anno, a far produrre alla pianta i propri fiori. In questo senso, di particolare importanza riveste l’andamento climatico delle stagioni invernale e primaverile che, qualora particolarmente miti, stimolano sulla pianta sempreverde una attività vegetativa ininterrotta a scapito di una “preparazione” ottimale della fase riproduttiva.

È proprio questo quanto sta accadendo negli ultimi anni nei quali assistiamo ad andamenti con medie termiche stagionali anche di qualche grado superiori alle medie standard del periodo ed una sempre più evidente mancanza di neve. Viene pertanto meno, quella componente di freddo, tradotta in una sommatoria di gradi freddo, necessaria alla pianta per dare impulso positivo alla fase di differenziazione a fiore della gemma.Ulteriore interesse svolge a riguardo anche il comportamento delle singole varietà, vale la pena ricordare che ne risultano iscritte al registro nazionale oltre 500, che mostrano di avere sensibilità e bisogni diversi rispetto proprio alla diversa risposta alle variazioni climatiche.

Un esempio su tutte il leccino che notoriamente abbisogna di minime termiche stagionali invernali anche importanti, per dare il meglio di sé. In tal senso quindi la componente biodiversità svolge un ruolo determinante motivandoancor più la necessità di una salvaguardia delle risorse non solo ambientali ma anche quelle genetiche.

Successivamente alla fase di fioritura, in apertura di una fase a forte richiesta idrica, risulta importante aver potuto accumulare nei terreni la cosiddetta riserva idrica profonda, grazie alle piogge ed anche alla neve caduta nelle stagioni precedenti. L’acqua è, e lo sta diventando sempre più, il fattore limitante le colture e la loro produttività. Anche l’olivo, pianta sovente additata come parca ed aridoresistente, richiede il soddisfacimento della quota minima idrica annuale che nei nostri ambienti assomma a circa 800 metricubi anno. L’andamento climatico degli ultimi anni mostra precipitazioni sempre meno copiose e mal distribuite durante l’anno, che non garantiscono alla pianta il giusto apporto al momento giusto .

La fase dell’indurimento del nocciolo, normalmente posizionata nella seconda settimana di luglio, è tecnicamente individuata come il momento più delicato rispetto al grado di disponibilità idrica in quanto in tale fase la traslocazione dei sali minerali necessari al passaggio dal nocciolo erbaceo a quello lignificato, richiede abbondante acqua disponibile alla pianta. In mancanza di ciò, ci accorgiamo di una evidente cascola dei frutticini appena allegati.

Fin qui è ben chiaro come anche piccole variazioni dei parametri climatici salienti, come la temperatura media e la piovosità, ma possono influire sul processo produttivo che parte chiaramente dalla fioritura passando per la decisiva fase dell’allegagione, ossia quando il frutticino ormai visibile si prepara all’ingrossamento fino a identificarsi con il frutto oliva che noi tutti conosciamo.

Il processo produttivo si avvia verso la maturazione dei frutti ed ora, ancora, l’acqua ne determina il buon esito consentendo quel complesso di attività enzimatica che caratterizza l’evoluzione dell’oliva verso l’invaiatura e allo stesso tempo,  il progressivo accumulo di olio. Così a settembre si sovrappongono due fasi delicatissime che esigono una buona dotazione idrica ed un andamento climatico favorevole agli allungamento dei germogli, determinanti non solo per la produzione dell’anno ma anche la fase di induzione a fiore che poi, nella primavera successiva ,porterà all’avvio della nuova fioritura .

Dunque in conclusione l’olivo può essere un esempio concreto di quanto sia stretta la dipendenza tra esito produttivo e andamento climatico, anche per la interconnessione tra due annate dei fatti fisiologici, atteso che l’olivo fruttifica, come noto, sui germogli prodotti nell’anno precedente.

I cambiamenti climatici, che stiamo vivendo, concorrono a portare a variazioni di qualche grado delle temperature medie ed una evidente diminuzione o irregolarità di distribuzione della piovosità, producendo una lenta ma progressiva desertificazione del nostro ambiente sempre più arido e secco. L’ottimizzazione della risorsa acqua, la salvaguardia della biodiversità ed aggiungerei una nuova visione di agricoltura di precisione rappresentano aspetti decisionali ormai indifferibili per il mantenimento di una attività agricola in continuo affanno.

Luciano Pollastri

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