di Luciano Gelsumino
Il ripido versante esposto a Nord-Est dell’abitato di Penne nella località fra la Portella e il Castello, denominato Ripe di S. Domenico, è stato fin da epoca remota, soggetto per effetto degli agenti atmosferici a continui movimenti franosi e corrosioni causati dallo sgretolamento del terreno costituito da stratificazioni di arenarie miste ad argille gialle e, più in basso, da argille blu con vene di sabbia.
Probabilmente, per questo motivo, nei tempi più lontani, la zona sovrastante fu poco urbanizzata: la prima costruzione di rilievo, infatti, venne realizzata dai frati domenicani attorno alla metà del 1200 (Chiesa di S. Domenico con annesso convento ora sede del Comune). Ma già dopo qualche secolo l’edificio “esposto alle ripe, minacciava la ruina”.
Ad eliminare l’inconveniente che con il passare degli anni aveva minacciato la stabilità degli edifici siti sulla sommità della Ripa, venne eseguita a cura del Comune di Penne (Ing. Luigi Marzari dell’Uff. Tecnico), con il sussidio dello Stato, una serie di muri di rivestimento di notevole altezza che iniziata nel 1910 e proseguita per lotti successivi, venne portata a termine nel 1925.
(Rilievo altimetrico delle Ripe di S. Domenico realizzato nel 1907 dall’Ing. Luigi Marzari, Capo dell’Ufficio Tecnico del Comune di Penne)
Con tali lavori si provvide a salvaguardare la stabilità del terreno nel tratto compreso tra il fabbricato del Liceo Scientifico (allora Scuola Tecnica) e l’Asilo per l’Infanzia “Regina Margherita” – 1872-1977 – (attuale Ufficio Anagrafe e Stato Civile, nonché Aula Consiliare), dello sviluppo di metri lineari 100 circa, in quei tempi sede di importanti edifici pubblici quali la Scuola anzidetta, la storica chiesa di S. Domenico, il fabbricato del Comune con le Poste e il Giardino d’Infanzia, oltre i fabbricati del Circolo di Conversazione e del Teatro Comunale, poi distrutti dalla Guerra (bombardamento aereo del 24 gennaio 1944).
Sembrò che il problema fosse stato risolto se non che a partire dall’inverno del 1931/32 (era l’Ing. Michele Minutillo Capo dell’Uff. Tecnico comunale) si cominciò a notare sui muri costruiti gravi lesioni, mentre il terreno a valle cominciò a franare.
I danni poi si aggravarono rapidamente e nel febbraio del 1933 i muri del tratto tra il fabbricato dell’oleificio D’Alfonso e la Chiesa di San Domenico crollarono per intero, trascinando a valle larghi strati di terreno della ripa e parti dei fabbricati D’Alfonso e del Circolo di Conversazione.
Nella zona successiva alla ripa, cioè tra la Chiesa e l’Asilo, si verificarono invece distacchi e crollo della parete argillosa subito sotto i muri di rivestimento che pertanto si trovarono direttamente minacciati.
Le indagini e gli accertamenti effettuati subito dopo il crollo dei muri portarono ad identificare le cause nelle infiltrazioni dietro i muri di acque piovane e di quelle provenienti da perdite nelle condotte idrica e fognaria della zona retrostante la ripa.
A seguito di questi ultimi fatti, l’abitato di Penne venne incluso con Regio Decreto nell’elenco di quelli da consolidare a cura e spese dello Stato.
Fu l’Ufficio del Genio Civile di Pescara che affrontò il problema della realizzazione di nuove opere di protezione in sostituzione di quelle crollate; problema che si presentò subito arduo per il fatto che la scarpata da proteggere dopo i movimenti franosi avvenuti, presentava un dislivello tra il ciglio superiore della ripa ed il piano della campagna sottostante, di oltre 40 metri, di cui circa 28 costituivano uno strapiombo quasi verticale sotto i fabbricati.
(Le Ripe di San Domenico nell’immediato secondo dopoguerra)
Si provvide intanto, come intervento di prima urgenza, a costruire un muro di protezione della scarpata formatasi a valle dei muri stessi, così da eliminare il pericolo incombente sulla stabilità dei muri rimasti in piedi nel tratto sottostante il fabbricato del Comune (dove allora c’erano le Poste e l’Asilo).
Venne costruito infatti un muro ad archi e pilastri della lunghezza di circa 20 metri ed altezza di circa 10 metri e si provvide contemporaneamente a impermeabilizzare le aree scoperte sulla sommità dei muri ed a disciplinare la raccolta e l’allontanamento delle acque piovane e di fogna della zona. Subito dopo si provvide a sistemare, con la costruzione di briglie, il fosso dei Conci, situato sul lato sud-est della zona franosa, sul quale si riversava la maggior parte delle acque pluvie e di rifiuto dell’abitato.
Il fosso dei Conci, per la sua forte pendenza, determinava infatti notevoli erosioni sulla sponda sinistra, con ripercussioni sulla stabilità del terreno sotto la ripa.
Una volta attuate le citate opere, si intraprese lo studio del problema principale, cioè quello della protezione della ripa già difesa dai muri crollati, compresa tra il fabbricato del Liceo Scientifico e la Chiesa di S. Domenico.
Le osservazioni fatte dai tecnici avevano accertato che il crollo dei muri era stato provocato da cause esterne, cioè dalle acque che pervenute a ridosso dei muri avevano determinato il rammollimento delle argille sabbiose sulle quali i muri erano poggiati.
La ripa, rimasta scoperta, subiva invece un accentuato fenomeno di sfaldamento dovuto agli agenti atmosferici (acqua, sole, gelo) che causava continui distacchi di materiale per cui in brevissimo tempo il ciglio della ripa era venuto a lambire le fondazioni dei fabbricati sovrastanti.
La situazione così creatasi dimostrò peraltro che potevano escludersi con sicurezza movimenti di massa del terreno su cui sorgeva l’abitato.
La consistenza del terreno, la sua stratificazione con inclinazione superiore a quella del versante, l’assenza di lesioni anche nei fabbricati che erano venuti a trovarsi sul ciglio della ripa con parte delle fondazioni a sbalzo sulla stessa a causa del citato fenomeno di sfaldamento, davano sufficienti elementi di sicurezza sulla stabilità della zona.
Il problema da risolvere si poteva quindi limitare alla protezione della ripa dai danni degli agenti atmosferici.
(Le Ripe di San Domenico nell’immediato secondo dopoguerra)
L’altezza della ripa faceva escludere a priori la costruzione di muri di rivestimento che oltre palesi incognite di ordine tecnico e statico ed incertezze di fondazioni avrebbero comportato spese enormi.
Il competente Ufficio del Genio Civile si era allora orientato verso un sistema molto semplice e cioè nella protezione della ripa addossandovi una scarpata da creare con terre di riporto.
I relativi lavori stavano per essere appaltati quando, nell’inverno 1934/35, si verificò nella zona un nuovo fenomeno che fece escludere la realizzazione dell’opera progettata: un accentuato movimento di slittamento del terreno a valle della ripa che interessò anche il muro costruito pochi mesi addietro sotto i vecchi muri della zona prospiciente il Comune.
La nuova parete cominciò infatti a staccarsi dalla ripa che doveva proteggere, slittare e sprofondare intera per qualche metro prima di lesionarsi per precipitare.
Venne però rilevato che nessuna ripercussione nei riguardi della ripa aveva il movimento franoso a valle di essa.
Il grave evento fece ovviamente soprassedere alla esecuzione della programmata scarpata in terra poiché essa, dovendo essere costituita proprio nella zona di terreno in movimento, avrebbe con il suo peso aggravato il fenomeno di slittamento.
Il problema dovette pertanto essere ripreso in esame con nuovi criteri dovendo escludersi ogni affidamento sul terreno sotto la ripa.
Si pensò così ad un rivestimento leggero della parete, da ancorare alla stessa.
L’idea fu realizzata con l’ esecuzione (affidata alla ditta dell’Ing. Giovanni Rodio di Milano specializzata in lavori del genere) di un manto protettivo di “gunite” armata (malta spruzzata a pressione, con un tenore di cemento più alto) rinforzata da nervature di cemento armato incassate nella parete ed ancorate alla stessa a mezzo di tiranti perforati e cementati a pressione.
I lavori vennero eseguiti negli anni 1937/38 con una spesa di circa lire 350.000.
Il consolidamento attuato sembrò sortire buon risultato, ma a partire dall’inverno 1941, ahimè, si dovette constatare un nuovo progressivo slittamento del terreno sotto la ripa con continuo abbassamento della scarpata addossata alla ripa stessa ai piedi del manto protettivo.
Tale avvenimento non poteva naturalmente recare danno diretto al rivestimento eseguito ma, con l’andar del tempo, portò a scoprire il lembo inferiore della “gunite” e quindi a mettere a giorno la parete della ripa sottostante il manto.
Da elementi desunti risulta che nell’inverno 1943 la striscia di parete rimasta così scoperta aveva una altezza media di ben cinque metri.
Lo stato di guerra in cui si trovava l’Italia in quel tempo non consentì agli uffici preposti di intervenire prontamente per estendere la protezione di cemento spruzzato a pressione alla nuova superficie scoperta.
Sulla stessa, continuamente esposta agli agenti atmosferici, cominciarono allora a verificarsi sgretolamenti e cospicui sgrottamenti che, propagandosi man mano verso l’alto, formarono larghi vuoti sul rovescio del manto protettivo, abolendo l’aderenza alla parete sia della “gunite”, sia della intelaiatura portante, minacciando la stessa efficacia degli ancoraggi.
Pregiudicata così seriamente la stabilità della struttura, in breve si verificarono i primi crolli avvenuti nel marzo 1943 nella parte centrale della ripa, estesi poi fino a determinare la quasi totale distruzione del rivestimento cementizio.
Nello stesso periodo di tempo si dovette anche constatare la quasi completa distruzione delle ultime briglie lungo il Fosso dei Conci, investite obliquamente sulla sponda sinistra, dalla spinta del terreno in movimento di tutto il versante sotto la ripa.
E’ peraltro da dire che all’aggravarsi dei danni sulla ripa e sul Fosso dei Conci influirono anche e non poco i bombardamenti subìti dall’abitato di Penne nell’inverno 1944, per effetto dello scuotimento e dei risucchi d’aria causati dalla esplosione di alcune bombe cadute nella zona.
Sulla parete rimasta così scoperta si riprodusse naturalmente il fenomeno di sgretolamento e sfaldamento che in pochi anni determinò l’arretramento della ripa verso l’abitato fino a raggiungere i primi fabbricati, mettendoli in diretto pericolo.
La situazione si era fatta così preoccupante che gli Uffici preposti, quando nel 1954 potettero riprendere lo studio del consolidamento della zona, dovettero provvedere, con la stessa perizia redatta per la esecuzione di una serie di saggi nel terreno sotto la ripa, a demolire la parte dei fabbricati che erano venuti a trovarsi parzialmente a sbalzo sulla ripa stessa per evitare che crollando trascinassero i fabbricati limitrofi.
Nel riprendere in esame il problema del consolidamento dell’abitato in questione si ritenne indispensabile promuovere due provvedimenti preliminari:
– far esaminare la zona da un geologo;
– effettuare una accurata indagine sulla consistenza del sottosuolo della zona a valle della ripa la cui instabilità aveva determinato direttamente o indirettamente ogni calamità verificatasi nelle opere attuate per la protezione della ripa fino a quel punto.
L’esame geologico della zona venne effettuato nel settembre 1954 dal geologo Ing. S. Motta del servizio Geologico d’Italia.
Nella sua relazione egli espone l’esito delle proprie indagini e le conseguenti deduzioni sulla struttura geologica del terreno e sulle cause del movimento franoso che di seguito riassumiamo:
– fenomeno di sgretolamento, sfaldamento e crollo per quanto riguarda la parete della ripa;
– fenomeno di smottamento e colamento per quanto riguarda il terreno a valle della ripa.
Si deve peraltro far notare che la discordanza tra le cause del crollo del rivestimento esposte dal geologo e quelle descritte nella relazione è dovuta a notizie inesatte fornite al geologo da persone del luogo.
(Le Ripe di San Domenico nell’immediato secondo dopoguerra)
Inoltre circa i provvedimenti da adottare suggeriti nella relazione del geologo, si fece presente che sia i saggi, sia la demolizione e la trincea sotto la ripa, all’atto del sopralluogo erano già disposti e quindi ultimati da tempo. Con la trincea aperta nel senso orizzontale alla ripa spinta fino sotto la parete della medesima con un breve tratto in galleria, si ebbe modo di accertare che le argille del sottosuolo presentavano la stessa conformazione e stratificazione delle argille apparenti nella parete della ripa e le stesse fessurazioni verticali le quali, mentre nella ripa scoperta davano luogo al fenomeno di sfettamento e crollo del materiale, nel sottosuolo consentivano all’acqua che si accumulava nel primo strato formato dal materiale crollato, di infiltrarsi in profondità e di espandersi negli strati di sabbia interposti ai livelli di argilla e determinare quindi piani di slittamento.
(Ripe di San Domenico: fase dei lavori eseguiti nel 1961)
Con l’occasione si potettero inoltre constatare evidenti affioramenti d’acqua dalle fessurazioni delle argille proprio nel tratto di scavo sotto la ripa e più copiose sulla parete di destra (Nord).
Alla fine, il progetto firmato nel mese di dicembre del 1956 dall’Ingegnere Giuseppe Pipino, Capo del Genio Civile di Pescara, che prevedeva un importo di spesa pari a 63 milioni di lire, divenne esecutivo, per essere realizzato per lotti successivi in base alle apposite perizie di stralcio, tenendo presente il seguente ordine:
– eseguire le opere di drenaggio sotto la ripa e l’allontanamento dello scarico della fogna sotto l’Asilo;
– eseguire la sistemazione del fosso dei Conci;
– una volta acquisito con sicurezza il buon esito dell’opera, eseguire il rivestimento di protezione della ripa.
I lavori vennero eseguiti nei primi anni ’60 dello scorso secolo.
(Le Ripe di San Domenico a lavori ultimati nel 1963 – Foto F.lli Sestili)
L’ascensore arrivò molto dopo….
(Le Ripe di San Domenico nella situazione attuale con la torre dell’ascensore che dal sottostante parcheggio consente l’ingresso in Piazza)