E’ stata la voce dei pennesi, quel Codice Catena di cui nel capoluogo vestino si è particolarmente orgogliosi. Ora torna a parlarne lo storico ormai naturalizzato pennese Candido Greco alla sua ennesima pubblicazione e che giovedì pomeriggio alle 17 sarà presentata nella sala consiliare alla presenza del sindaco Mario Semproni e della sovrintendente archivistica dell’Abruzzo e Molise Elena Glielmo.
Sono gli Statuti della Città di Penne, quelli contenuti nel Codice Catena in una città che esprime un governo fondamentalmente democratico perché, come nell’antica Grecia, ha come cellula base il demo che è il rione. Ciascuno infatti dei sei rioni cittadini di Penne non solo concorre a formare il parlamento generale, ma esso stesso è organizzato in modo da formare con i suoi abitanti un piccolo parlamento. Siamo nel 1457 quando gli Statuti vengono ratificati dal vescovo Amico Buonamicizia e dal re Alfonso I per poi essere riformati ed ampliati dal sovrano Ferrante i nel 1468. Il testo viene trascritto quasi un secolo dopo, nel 1548, dal chierico veronese Sebastiano Venturino e in questa forma è stato poi tramandato ai posteri: con la coperta di un antico trattato dogmatico munito di catena, coperta che vi fu applicata con restauro posteriore, forse del tardo Cinquecento, da qui il suo nome. Sebbene gli Statuti siano quattrocenteschi, risulterebbero però del secolo precedente, o per lo meno della sua seconda metà, quando li ricordava Luca da Penne nei suoi Commentari di Giustiniano scritti nel 1378. Consiste di 57 carte membracee ed ha caratteri in gotico modestissimo, di color ruggine, con capoversi miniati in rosso e rubriche dello stesso colore. Le sue condizioni attuali non sono brillanti, avrebbe bisogno di un restauro e riprodotto per salvaguardarlo.
B.Lup.