Dal mare di Pescara attraverso le colline di oliveti di Loreto Aprutino fino alle pietre di Penne e poi su, verso il Gran Sasso, a raggiungere Roccafinadamo, una frazione di 250 abitanti il cui punto più alto è rappresentato dalla Cima della Rocca, a circa 700 metri di altezza.
La vista è mozzafiato, il silenzio terapeutico. Il Gigante dormiente potresti svegliarlo quasi con un dito, tanto appare vicino e proteso. Lasciamo che lo sguardo si perda nella vallata che è un santuario della memoria destinato a persone speciali perché solo lì i loro sorrisi possono prendere la foggia del sole. È il regno incontaminato di Luciana e Raffaele Astolfi, titolari di una delle aziende più rinomate per la produzione del particolare pecorino di Farindola, protetto dal presidio Slow Food ed oggi una delle Comunità di Territorio e Prodotto sostenute dal Gal.
Non so nulla degli Astolfi se non che una volta regalai una forma del loro formaggio ad un giornalista di Milano che mi disse di averlo mangiato a morsi come una mela! “È veramente eccezionale, bisognerebbe farlo assaggiare a Cracco!” Le parole mi ritornano in mente mentre passeggio con Luciana che mi conduce verso la stalla dove sono da poco rientrate le mamme con gli agnellini. In realtà, in quella distesa di paglia e fieno si vive tutti insieme: ovini, galline, papere e gatti. Luciana conosce gli agnellini uno ad uno perché la mattina li nutre con il biberon, li accarezza e si rivolge loro cambiando il tono della voce. Mi scende una prima lacrima di commozione. Luciana è una donna incredibile, forte senza sapere di esserlo, dolce senza che nessuno glielo abbia chiesto. Dalle sue mani dipende la qualità del particolare formaggio, non a caso chiamato il pecorino delle donne perché la lavorazione del caglio di maiale- caso unico in Italia– è alchimia poetica che si tramanda da femmine a femmine. Lei, ad esempio, ha imparato tutto da sua suocera Esterina. Ho già una prima traccia che mi riconduce alla traslazione del valore da raccontare all’amico nordico: sono mani femminili a creare questo pecorino, sono loro le mani che mescolano il caglio nel latte bollente e sono loro le mani che lavorano, strizzano e plasmano i granuli nelle “fiscelle”, i tipici cestini che donano alle forme di cacio quelle particolari striature e sulle quali, durante la stagionatura, una volta ogni quindici giorni viene steso l’olio di oliva.
In ogni angolo che visitiamo, in ogni animale che incontriamo, in ogni scivolìo di nuvole sul Monte Camicia, c’è sempre un nome al quale Luciana collega l’emozione che provo per quella simbiosi tra umanitá e natura: Eliseo, il figlio che una malattia improvvisa ha portato via per sempre, nel 2016, alla sola età di 31 anni. “Tutto questo lo ha voluto lui, noi facevamo il formaggio, lui gli dava un’anima”
È infatti Eliseo, con il suo temperamento passionale ed il suo carattere gioviale a capire che in quel lavoro, apparentemente umile e faticoso, c’è la chiave della felicità ed è lui ad intraprendere delle azioni di marketing che permetteranno all’azienda familiare una ulteriore crescita grazie alla partecipazione ai concorsi nazionali, alle fiere importanti come l’Expo di Milano nel 2015, alla promozione del pecorino nella quale investiva energia ed entusiasmo, al lavoro agricolo che svolgeva con dedizione tanto da ricevere un premio, nel 2015, come Agricoltore dell’Anno.
Anche nell’ampio locale dove vengono conservate le forme di formaggio, tutto parla di Eliseo, persino il raggio di sole che entra dalla piccola finestra che è un occhio del cielo. Eppure fino a dieci minuti fa pioveva! Fino a dieci minuti fa mi chiedevo come si sopravvive alla morte di un figlio! La semplicità della risposta da quassù in alto mi pare solo un gradino da salire e quello di Luciana e Raffaele un esempio da urlare dallo strapiombo e riascoltare nella eco fino a che non ti entri in testa. Come si sopravvive alla morte di un figlio?
Probabilmente continuando a vivere come lui voleva, con lo stesso amore che lui riponeva nel “creare” la vita, quell’esistenza tra gli animali che rispettava riconoscendo loro libertà e dignità, quella sapienza nel suonare l’organetto, nell’intagliare il legno, nell’ampliare la produzione con ricotte stagionate e crema di formaggio da spalmare.
“Dopo la sua morte è stato tutto più difficile, abbiamo rinunciato a tante cose, persino le mucche abbiamo venduto perché da soli non ce la facevamo. Il suo cavallo però non ci siamo riusciti. Lo lasciamo libero come piaceva ad Eliseo, quando è stanco o quando ha freddo se ne torna da solo dentro la stalla. Vuoi vederlo?”
Entriamo nell’altro stallo di paglia e fieno: quasi mi lancio ad accarezzare il profilo camuso del bellissimo esemplare ma non sembra gradire la mia effusione. “No, lui si fa avvicinare solo da mio marito”. Infatti quando Raffaele ci raggiunge l’animale si placa, riconoscendo il tocco della mano sui crini della fronte.
Quanta infinita tenerezza c’è in questa famiglia! Insieme alla degustazione dei prodotti tipici, bisognerebbe sempre raccontare le storie che si celano dietro perché la rivelazione delle emozioni più intime è l’energia che trasmigra, come nel pecorino Astolfi c’è il soffio immortale di Eliseo, di un cuore che ha smesso di battere per trasformarsi in altro e rimanere lì, a volare tra cielo e spianate di verde, a controllare che il pecorino sia fatto ancora come voleva nonna Esterina.
“La vita che continuiamo ad onorare non è dopo di lui ma con lui. Ho un’altra figlia e due splendidi nipoti, pensa che il maschio è nato nello stesso giorno di Eliseo e gli è stato padrino al battesimo. Qualcosa vorrà pur dire!”
Sabrina De Luca