Come ogni anno valorizza il suo territorio con un ricco cartellone di manifestazioni, tra le altre spicca “Dieci giornate in Pietra”, dedicata all’arte della scultura. I vicoli diventano luoghi di esposizione, le mura si esprimono invitando all’osservazione, alla meditazione; evocano scene, lanciano segnali. La pietra è di tutti, come queste strade e questi monti, simbolo di intima appartenenza. Non più materia inerte e fredda, si fa intensa, diventa quasi umana, parla. Nell’affrontare temi importanti, nella rappresentativa riproduzione di informazioni, di ideali, di speranze, la docile superficie diviene parola, si presta a trasmettere, in un linguaggio estremamente originale, quella che può essere interpretata come la corrente di più pensieri. L’idea di riunire svariate provenienze in un’unica forma d’espressione in un momento in cui tutto divide, ma che l’arte unisce, risulta vincente. Una rassegna emozionante che, anno dopo anno, decora l’arredamento urbano con opere denominate “Pietrales”. Gli originali murales itineranti nel borgo sono opere d’arte uniche realizzate da scalpellini provenienti da tutto il mondo, l’evento è ormai diventato un must nel mondo dell’arte e dà vita a momenti significativi con grande affluenza di pubblico. La pietra è bianca, liscia e dolce, si presta alla lavorazione lasciandosi scolpire. Giuseppe Ferrante è uno storico dell’arte e scrittore di Lettomanoppello, a cui dedica con passione grande attenzione, attraverso studi, saggi, approfondimenti. Un interesse, il suo, che va al di là di trattati e pubblicazioni ma nasce dal profondo legame con la sua terra.
Perché, ad un certo punto nella storia qualcuno ha iniziato a modellare la pietra e qual è stata l’evoluzione di un’arte che ancora oggi è considerata preziosa e rivelatrice?
“La storia degli scalpellini di Lettomanoppello è piuttosto ‘recente’, con le prime attestazioni segnalate a partire dal ‘700 circa. Va precisato, però, che le maestranze che hanno introdotto questa peculiare lavorazione della pietra con lo scalpello sono venute da altre zone d’Italia. Sono stati i grandi terremoti che hanno sconvolto l’Abruzzo, già a partire dal ‘400, ad attirare dalla Toscana e dalla Lombardia manodopera utile alla ricostruzione. Alcune caratteristiche costruttive degli edifici storici di Pescocostanzo rappresentano una straordinaria testimonianza di quanto sto dicendo, per la presenza di elementi architettonici tipici della Lombardia. É stato accertato che intorno al XIX secolo a Lettomanoppello sono giunte famiglie di origine lombarda proprio da Pescocostanzo, avviando la fortunata tradizione. Nel piccolo borgo lettese, però, i valori estetici sono stati a”ancati da esigenze più utilitaristiche. In questo modo ai motivi decorativi di portali, balconi, cornici, chiavi di volta, è stato dato impulso ad una produzione assai peculiare di attrezzi in pietra destinati ai lavori agricoli, come ad esempio le vasche per la spremitura delle olive e dell’uva”.
“10 Giornate in Pietra”, la kermesse d’agosto tanto attesa dagli amanti dell’arte scultorea, aggiunge ogni anno pregio attraverso l’intervento di illustri maestri, scuole, iniziative e assume la doppia valenza artistica e sociale. Cosa significa scegliere la pietra giusta, modellarla e restituirla alla luce con una forma diversa?
“Lo scultore (o lo scalpellino) opera una riduzione sottraendo materia. Allo stesso tempo, però, imprime un’aggiunta, puramente concettuale, che è l’intenzione di voler rendere la pietra un oggetto utile per fini estetici o per usi pratici. L’incontro tra il togliere materia e l’aggiungere significato è garantito dalla gestualità. Quindi, per rispondere alla domanda, si può affermare che scegliere una pietra, modellarla, dargli una nuova forma, significa compiere una sorta di rito, sancire una rinascita, ristabilire un rapporto di reciprocità tra l’uomo e la natura”.
Un messaggio profondo narrato nelle pagine di storia racconta dei cavatori, chi erano?
“La pietra utilizzata dagli scalpellini veniva cavata direttamente sul territorio di Lettomanoppello. Questo lavoro era condotto dai cavatori, ossia conoscitori esperti della materia prima. Di loro si racconta che sapessero “leggere” e “ascoltare” le pietre. Le venature o il rumore ottenuto battendo in più punti con attrezzi specifici i massi, consentiva ad un cavatore di raccogliere informazioni utili allo scalpellino, su cosa realizzare con quella pietra, se fosse più adatta per realizzare un caminetto, un portale, delle scale, ecc. Questa maestria, purtroppo, si sta perdendo. In paese è rimasta un’ultima famiglia di cavatori: i Di Biase chiamati ‘La Bobba’”.
A suo avviso, i cosiddetti “Pietrales” possono essere considerati patrimonio storico e culturale del territorio anche se scolpiti da mani straniere che, in qualche modo, potrebbero intaccare la tradizione con contaminazioni “estere”?
“I ‘Pietrales’, che preferisco chiamare bassorilievi, non sono depositari della tradizione degli scalpellini per ragioni puramente formali. Ciò vale in termini assoluti, anche quando al simposio partecipano scultori (non scalpellini) di Lettomanoppello. I bassorilievi lettesi sono veri e propri oggetti d’arte. Questa sottolineatura è molto importante perché spesso lo scultore e lo scalpellino vengono confusi, ma si tratta di due figure distinte: lo scultore è un artista e concepisce la materia come un contenitore della propria ispirazione. Lo scalpellino, invece, realizza oggetti d’uso che non necessariamente devono essere portatori di motivi estetici. L’obiettivo dello scalpellino è di rendere utile ciò che realizzerà con la pietra. In tutto ciò il motivo estetico viene dopo. É utile ricordare, però, che l’arte contemporanea e la tradizione degli scalpellini di Lettomanoppello si sono già incontrati in passato. Nel 1984 Joseph Beuys realizzò presso la bottega dello scalpellino Sante Aceto ‘Olivestone’, utilizzando delle vasche di pietra scalpellate nel XVIII secolo a Lettomanoppello, che servivano per spremere le olive. L’opera oggi è custodita presso il museo d’arte contemporanea di Zurigo. La storia di Olivestone ci dimostra come la tradizione possa trovare un alleato notevole per la sua sopravvivenza. L’artista Joseph Beuys e lo scalpellino Sante Aceto hanno tracciato uno straordinario sentiero che, a mio modo di vedere, andrebbe indagato maggiormente sul piano demo-etno-antropologico”.
Lettomanoppello e la Majella sono pieni di tesori nascosti, paradisi inesplorati, opere d’arte sconosciute a molti. In che modo, secondo lei, andrebbero valorizzati?
“Sulla Maiella il repertorio artistico è molto eterogeneo e copre tutti gli ambiti cronologici. Volendo fare riferimento alla sola pietra, va notato come intere comunità di maestranze devono molto alla pietra della Maiella, alla sua natura, alle sue attitudini. Un rapporto di reciprocità sedimentato dalla tradizione che ha definito caratteri esclusivi e irripetibili altrove. Per questi motivi, quindi, è possibile affermare che esiste una geografia ben precisa, che colloca sulla montagna della Maiella un peculiare bagaglio culturale e antropologico legato alla lavorazione della pietra. Un primo passo verso la valorizzazione, quindi, consiste nel fare leva sul carattere di esclusività. In secondo luogo, a quanto appena affermato, andrebbe aggiunta la rivendicazione in senso storico della dignità della lavorazione della pietra che, però, non prende avvio con la tradizione degli scalpellini nel ‘700, ma ha radici assai più remote. A tal proposito un esempio significativo è fornito da un documento rintracciato presso il Capitolo della cattedrale di Ascoli, che consiste in un contratto per la realizzazione di un arredo sacro da montare all’interno della cattedrale ascolana (purtroppo l’oggetto non venne realizzato a causa della morte improvvisa dell’artista). In questo carteggio datato 7 marzo 1456 si legge che l’opera doveva essere realizzata con la ‘preta della montagna Magella secundo lu designo a lui dato’. E a ricevere questo disegno e l’incarico di eseguire i lavori, fu Nicola da Guardiagrele, citato sempre nello stesso documento come Mastro Nicola ‘de argentis de Guardiagrelis’. Questa ulteriore informazione, inoltre, ci conferma come il grande orafo abruzzese fosse abile anche nella lavorazione della pietra, soprattutto della Maiella, tanto che in alcuni documenti Nicola da Guardiagrele è definito ‘ragionevole maestro nella scultura’. Questa breve ricostruzione consente di aggiungere un ulteriore prezioso tassello alla storia della pietra della Maiella, con l’opportunità, per chi ancora esercita le attività artistiche e artigianali con questa particolare pietra, di poter contare su una ideale e prestigiosa ‘eredità’ culturale, risalente addirittura al grande Nicola da Guardiagrele. Infine, sono convinto che la piena valorizzazione del patrimonio artistico e culturale della Maiella, sia possibile solo attraverso la conoscenza approfondita, a”data allo studio e ad una divulgazione snella, semplice, immediata. In questo i social possono dare un supporto notevole”.
Tutto ciò che abbiamo è la nostra storia, essa insegna, il patrimonio dal quale possiamo attingere è a portata di mano, basta solo riconoscerne la ricchezza. Alla Luce del sole la Maiella risplende, le bianche lastre riflettono dopo essersene inebriate, il calore che scalda e avvolge, proprio come una comunità che accoglie nella condivisione abbattendo ogni confine. Un’amministrazione attenta e operosa che molte emozioni regala ogni anno con molteplici iniziative. L’eredità che si lascia alle generazioni future è grande, si può creare magnificenza, preservando il patrimonio esistente e guardando al domani.
Maria Zaccagnini