L’ERA DEL CINGHIALE
Abruzzo: intervista a Mauro Di Zio, Presidente CIA Abruzzo, sulla problematica che lo vede da anni in prima linea

Si intensifica la protesta in Abruzzo contro l’invasione dei cinghiali, i quali, con l’emergenza Covid-19, hanno trovato campo libero in spazi rurali ed urbani, spingendosi sempre più vicini ad abitazioni e scuole fino ai parchi dove giocano i bambini: un aumento del 15%, da nord a sud dell’Italia, in Abruzzo superano ampiamente le centomila unità.
Due i flash mob di protesta più importanti, il primo l’8 luglio scorso, organizzato dalla Coldiretti a Roma con partenza da Piazza Montecitorio, l’ultimo il 21 luglio a L’Aquila, promosso da  CIA Abruzzo davanti al Palazzo dell’Emiciclo.
Era il 30 agosto del 2018 quando, a Pescara, si preannunciava l’emergenza nell’incontro voluto dall’allora Presidente della Commissione Agricoltura della Regione Abruzzo, Antonio Innaurato che fece sedere al tavolo di discussione l’ATC – Ambiti Territoriali Caccia, l’ANCI – Associazione Nazionale Comuni Italiani, le organizzazioni di categoria CIA e COPAGRI e l’Unicem Abruzzo – Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani ed i sindaci. Premesse e problemi ancora carta bianca sul tavolo e, di fatto, nessuna soluzione definitiva ed efficace.
Lacerba cerca di fare un punto della situazione con chi, già da molti anni, compie studi, confronta dati e propone alternative ad una situazione critica, Mauro Di Zio, Presidente Regionale della CIA  Abruzzo.

Presidente, a quanto ammontano i danni provocati dai cinghiali?

La CIA ha stimato, per il 2020 ed in tutto e quattro le province, i danni arrecati alle aziende agricole, circa 1061 da parte di tutta la fauna selvatica, per un importo pari a 2.655.843,48 milioni di euro. Nella Provincia di Pescara siamo a circa 200 danni dovuti a lupi, cinghiali e storni per un importo di circa 450 mila euro. La Provincia di Chieti è quella che registra più danni da parte dei cinghiali. Sono stime con un certo grado di approssimazione dal momento che non esistono strumenti attivi in grado di fornire stime più attendibili. Aggiungo che, oltre agli ingenti danni alle imprese agricole esistono danni agli automobilisti; questi ultimi hanno comportato la morte di qualche decina di persone ma non è il numero ad essere importante ma il fatto che non dovrebbero  accadere incidenti di questo tipo.

Quali sono secondo Lei le cause principali di tale emergenza?

La causa principale deriva da una carenza a livello di pianificazione. La Regione Abruzzo dovrebbe prevedere una pianificazione integrata concreta con obiettivi e strumenti condivisi con tutti gli stakeholders, sia per le aree protette, sia per le aree che ricadono al di fuori.

Lei, in sostanza, suggerisce delle priorità nel cronoprogramma delle attività da espletare?

Lo suggeriscono buon senso ed un approccio scientifico il quale deve incrociare i dati a disposizione, le analisi scientifiche e gli obiettivi della normativa nazionale. I dati non sono molti ed anche approssimativi mentre le analisi scientifiche a livello di approccio sono numerose. La normativa nazionale si fonda su due leggi importanti, la Legge 157/1992 e la Legge 394/1991, che non sono più al passo con i tempi ma che costituiscono una buona base da cui ripartire. Il primo aspetto da affrontare è la scelta degli strumenti da utilizzare privilegiando quelli più efficaci dal punto di vista scientifico per il controllo e la selezione. A ciò si unisce il problema di quali risorse umane impiegare per l’utilizzo degli strumenti che saranno prescelti. Su questo punto dissentiamo sulle modifiche apportate dalla Regione Abruzzo alla Legge Regionale 10 del 2004, che disciplina il controllo e l’abbattimento della fauna selvatica, i cinghiali in particolare. Tale modifica penalizza gli agricoltori in quanto verrebbe ridimensionato il personale addetto all’esecuzione dei piani di abbattimento. La Legge regionale del 2004 prevedeva che all’operazione, oltre alla Polizia Provinciale ed alle guardie venatorie, partecipassero anche proprietari o conduttori dei fondi interessati, purchè muniti di licenza per l’esercizio venatorio ed opportunamente formati. Nel testo modificato questi ultimi non vengono tenuti in considerazione. Vorrei evidenziare il fatto che il controllo, dove l’abbattimento avviene nel momento in cui i cinghiali stanno provocando i danni, è importante tanto quanto la selezione, che avviene durante la caccia.

Quali sono le altre azioni urgenti da intraprendere?

Diverse ma alla base vi deve essere un equilibrio tra gli interessi degli agricoltori e quelli relativi alla tutela dell’ambiente e della fauna selvatica. La mancanza di decisione ed azione porta anche al proliferare della perdita di vite umane. La selezione degli strumenti da utilizzare deve essere condivisa con gli stakeholders e la task force regionale. Una volta individuati gli strumenti più efficaci, sia per le aree libere, sia per le aree protette, voglio sottolinearlo, sarà necessario individuare strumenti di precisione per georeferenziare la posizione dei cinghiali e per stimare con assoluta precisione i danni ai terreni ed alla zootecnia e per incidenti stradali. Il passaggio successivo all’analisi dei dati sarà quello dell’analisi sanitaria dei capi abbattuti. Naturalmente tutto ciò comporterà la necessità di individuare risorse umane ed economiche da destinare alle attività pianificate.

Come mai lei cita l’analisi sanitaria?

Bella domanda. La cito dal momento che ultimamente si è avuta la diffusione della peste suina dall’Africa che potrebbe arrivare anche in Italia se non adeguatamente monitorata la situazione. Le malattie sono trasmissibili ad altri animali. Ciò comporterebbe ingenti danni al settore dovuti ai numerosi abbattimenti dei capi in tutta Italia, soprattutto per i prodotti a marchio di qualità. E’ un problema da non sottovalutare ed a tal fine l’analisi sanitaria risulterà fondamentale.

In definitiva cosa consiglia all’attuale amministrazione regionale?

A febbraio, in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale per la Regione Toscana, avevamo fatto la proposta di coinvolgere i cacciatori da formare in affiancamento alla Polizia Provinciale che non è dotata di risorse umane sufficienti. Di tutta risposta la Regione Abruzzo prima ha modificato la Legge Regionale 10 del 2004 rendendo difficoltoso tutto ciò e poi proprio ieri è tornata sui suoi passi proponendo l’utilizzo dei cacciatori formati attraverso un legame gerarchico particolare con ATC e Polizia Provinciale. La mia proposta è di sfruttare convintamente i cacciatori formati, di effettuare una pianificazione condivisa e di effettuare un’analisi seria dei dati. Gli agricoltori stanno subendo danni economici ingenti che si sommano a quelli derivanti dalla pandemia. L’ultimo aspetto da trattare, non ultimo in ordine di importanza, è quello della liquidazione dei danni. Chiediamo di commisurare l’entità effettiva dei danni e non in base alla disponibilità finanziaria dell’ente. Con un’analisi dei dati precisa sarà più facile quantificarli e derogando alla regola del de minimis che prevede dei massimali. Attualmente per danni stimati che superano i due milioni e mezzo di euro gli indennizzi annui sono stati pari a circa 700.000 euro.

E cosa si augura?

La nostra proposta è di utilizzare tutte le forme di gestione utili a contenere il numero di cinghiali, compreso l’uso delle gabbie di cattura dentro e fuori i parchi.
L’augurio è che l’istituzione regionale riesca a contemperare gli interessi degli agricoltori con la tutela dell’ambiente e della fauna selvatica tenendo in considerazione le posizioni della CIA e degli altri stakeholders apportando una soluzione definitiva a questo annoso problema.

Aldo Di Fabrizio

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