di Simona Folegnani
Per tutta la vita i brigatisti rossi hanno difeso il loro segreto sulla cascina Spiotta e la morte di Margherita Cagol. Pensavano fosse invalicabile, ma non appare così. L’intercettazione, nell’ambito delle indagini di riapertura del caso, che sembra inchiodare l’ex br Lauro Azzolini getta altre ombre sulla vicenda del 5 giugno ’75, quella del sequestro a scopo estorsivo di Vittorio Vallarino Gancia. Mentre ripercorre insieme ad Antonio Savino alcuni episodi del passato torna a quei fatti, dopo l’uccisione del carabiniere pennese Giovanni D’Alfonso: “Che siamo tornati, che siamo ritornati ancora là… “. Azzolini non specifica il luogo anche se un successivo riferimento alla macchina fa pensare che si tratti del garage.
L’affermazione è destinata a sollevare numerosi dubbi. Da dove sono tornati? Avevano forse tentato la fuga a piedi e per qualche motivo cambiato idea? Fin qui nulla di strano. Sembrerebbe proprio lui l’uomo misterioso, quel “povero Cristo” come lo definisce la figlia di Renato Curcio, che a ottant’anni suonati sta rischiando l’ergastolo: come il padre del resto. Nulla di strano dunque, non fosse per quell’odio maturato nei confronti di Mario Moretti e che ancora oggi serpeggia largamente tra alcuni ex militanti. Un astio scaturito, secondo le dichiarazioni rese in commissione Moro dal pentito Enrico Fenzi, proprio dall’episodio della Spiotta. Secondo Alfredo Buonavita, ascoltato in Commissione Stragi nel 1983, Giorgio Semeria, uno dei capi fino al ’76, raccontava ai compagni che Moretti avesse manomesso il fucile usato alla cascina ed allertato i carabinieri.
Un risentimento tanto grave da provocare una frattura interna, mai attutita da Curcio e giustificabile soltanto a fronte di un coinvolgimento diretto di Moretti. Ma facciamo un passo indietro. Massimo Maraschi atteso alla cascina viene arrestato dai carabinieri di Canelli subito dopo il sequestro di Vittorio Gancia. È Margherita “preoccupatissima” che informa i compagni al rientro dall’operazione, intorno alle 16. Nei rilievi fotografici effettuati subito dopo il conflitto a fuoco, si notano tre brandine disfatte. Forse qualcuno ha sostituito il giovane lodigiano? Dopotutto Margherita era un capo e le era concessa una certa autonomia. Viste le incongruenze tra la relazione dell’ignoto brigatista e il racconto intercettato di Azzolini, che lascia pochi dubbi sull’innocenza della donna in merito alla morte dell’ appuntato D’Alfonso, non sarebbe inopportuno nutrire qualche sospetto anche su altri dettagli. Alla luce dei fatti la presenza di un terzo brigatista, fuggito poco prima dell’arrivo del carabiniere in borghese, non può essere esclusa.
Il tenente Rocca ed il maresciallo Cattafi furono messi subito fuori combattimento. Il carabiniere in borghese si vide sulla scena quando i due si trovavano già nelle rispettive vetture. Il carabiniere in borghese di quella pattuglia, Pietro Barberis, sulla cui operatività in quell’azione permangono serissimi dubbi, rivelò ai colleghi sopraggiunti: “scappano, scappano…”. Chiaro il riferimento a due brigatisti, non potendo la Cagol fuggire perché già ferita.
Alcuni fonogrammi inviati a distanza di ore parlavano di due uomini in fuga. Gli unici testimoni, D’ Alfonso e Cagol, sono deceduti. Nel resoconto in Commissione Moro, Enrico Fenzi racconta dell’ abilità del fuggiasco che identifica, anche se de relato, in Mario Moretti. E di una certa agilità nella fuga, parla anche Leonio Bozzato. Ascoltato per ben due volte dalla procura di Torino, fonte Frillo al servizio del Sid dal 71 all’89 (un’esclusiva del libro “Br. L’invisibile”) non fa nomi, ma sembra seminare indizi. Si dice certo che il fuggiasco fosse emiliano come Nadia Mantovani che però è lombarda, mantovana di Sustinente. “Si trattava di un pezzo da 90” aggiunge Bozzato, qualifica che nel ’75 apparteneva più a Moretti (tra i fondatori delle Br) che ad Azzolini.
Faceva parte della direzione strategica ed era anche amico di Gallinari e Micaletto. Indizi, informazioni generiche sparse qua e là riconducibili a entrambi i principali sospettati. Ma vi è di più. Nella relazione dell’ignoto brigatista in un paio di occasioni si indica una “M” non accompagnata dall’articolo femminile che caratterizza invece i passaggi in cui si fa indubbio riferimento alla Cagol. Circostanza che potrebbe riferirsi ai due nomi di battaglia Marcello e Maurizio usati da Moretti. Nella sua biografia questi, riferendosi alla preoccupazione della donna per l’arresto di Maraschi, rivela: “Margherita ci avvertì subito e valutammo la cosa assieme”. La Cagol telefonò al marito “per chiedere istruzioni” soltanto il giorno dopo il sequestro, la mattina del 5 giugno. Subito quando? Subito dove? In ogni caso, i brigatisti farebbero bene a difendere un po’ meno il loro segreto. Rischiano in quattro (Azzolini, Curcio, Moretti e Zuffada) l’ergastolo, ai domiciliari. Certo, Moretti è ancora detenuto in semilibertà…