CALCIO & TRIBUNALI/SI FA PRESTO A DIRE ILLECITO Le lacune della sentenza. Il ricorso c’è tutto

PENNE – Il Penne è orientato a presentare ricorso a Roma davanti alla corte nazionale della giustizia sportiva della Figc. C’è da attaccare entro fine anno l’impianto accusatorio condiviso dal tribunale territoriale che ha inflitto due punti di penalizzazione ai biancorossi da scontare quest’anno, ad otto mesi dal fatto di Fara, ed i tre anni dati a capitan Di Simone, oltre che ai due ex Mucci e Di Bartolomeo.

DOV’E’ IL COMMISSARIO?Fra i paradossi e le grottesche conclusioni del caso biscotto in Fara-Penne, campionato di Promozione, penultima gara dell’1 maggio scorso, ve n’è uno in più. In campo fra le due panchine agiva l’assistente arbitrale numero 1, Miccoli di Lanciano: è stato ascoltato? E l’arbitro Guido Verrocchi di Sulmona (lo stesso di giovedì ad Alba)? Dov’era il commissario di campo inviato dalla Federcalcio a vigilare sul corretto andamento della partita? Negli ultimi minuti quest’ultimo era negli spogliatoi: è stato sentito? L’assistente arbitrale e il commissario di campo erano gli unici testimoni neutri dei fatti contestati sul campo in quegli ultimi istanti di match. Il Fara San Martino, uscito indenne dall’illecito sportivo di cui ha beneficiato in esclusiva, si è salvato grazie al gol taroccato, stando al processo aquilano. Salvandosi, ha mantenuto la categoria, la Promozione, ma poi vi ha rinunciato andandosi a fondere con il Palombaro, club del paese confinante che invece era retrocesso sul campo, a causa dell’illecito, e non ripescabile perché ne aveva già usufruito. Il nuovo sodalizio nato dalla fusione dunque è rimasto in Promozione grazie ad un illecito sportivo, come sostiene la giustizia sportiva della Figc guidata dal 2002 dal presidente Ortolano dove non vige il limite dei mandati. Ma a far ragionare è soprattutto la motivazione espressa dal collegio giudicante presieduto dall’avvocato Antonello Carbonara, legale aquilano. La procura federale, rappresentata dall’avvocato romano Luca Sanzi, ha impostato il suo capo d’accusa contro i tre giocatori del Penne, poi sanzionati con 3 anni ciascuno di inibizione, sostenendo anche così: “in concorso fra loro e con altri allo stato non identificati”. Dunque vi sarebbero, e ci sono naturalmente, altri tesserati coinvolti. Il Penne è, secondo il teorema accusatorio, nella paradossale condizione di aver organizzato autonomamente un illecito a perdere, senza alcun compenso in denaro o altre utilità, al solo scopo di restituire un favore ricevuto nella stagione precedente, cioè la vittoria nel recupero che permise ai biancorossi allenati anche allora da Alfredo Castellano di entrare nei play off: e si parla di nulla rispetto alla salvezza regalata ai teatini. Ma a far capire che non ci sono prove per condannare il Penne al meno 2 per la stagione corrente e alla batosta personale per i calciatori, è l’accusa a Di Simone. Contro il capitano, 26enne pennese doc, non c’è nulla. Solo il fatto di aver passato volontariamente la sfera a Di Vito, giocatore con un passato in serie D, colui cioè che segnò il gol decisivo. Ora, stangare con tre anni di squalifica un calciatore solo per aver sbagliato un passaggio è aberrante, una mostruosità giuridica che induce a pensare male ogni volta, ogni domenica dalla serie A in giù, vi sia un errore plateale di un calciatore o di un arbitro. Per gli altri due ex calciatori del Penne, Mucci e Di Bartolomeo, l’accusa ha sostenuto di aver scritto sms su whatsapp con cui si commentava l’esito della gara di Fara. La CASISTICA. Osserva la commissione disciplinare della Lega Nazionale Professionisti il 21 ottobre 2003: ”La squalifica per un minino di tre anni può ritenersi appropriata solo nel caso si riscontrino prove certe della responsabilità del soggetto deferito. Dall’esame di precedenti giudicati in tema di illeciti sportivi si rileva che, in primo luogo, gli stessi si siano raramente conclusi mediante riscontri con prove certe, ma quasi costantemente con la valorizzazione di un quadro indiziario, ed in secondo luogo che risulta prassi consolidata l’applicazione di sanzioni inferiori al cosiddetto minimo edittale (cioè 3 anni n.d.c.)”. Il tribunale aquilano è invece certo dell’illecito del Penne. Tutto ciò in riferimento al tentativo di illecito sportivo, equiparato dalla giustizia sportiva all’illecito consumato, attribuito al calciatore Campi del Pisa squalificato per 8 mesi e con la società toscana penalizzata di un punto come confermò anche la corte di appello federale. A favore di Di Simone del Penne sembra andare anche la sentenza della commissione disciplinare della Lega Professionisti di serie C del settembre 2004. “In riferimento alla posizione del calciatore Luis Landini del Sassuolo appare alla commissione incomprensibile anche il suo deferimento in quanto lo stesso non risulta protagonista di alcuna conversazione telefonica intercettata, ma solo di inconsistenti riferimenti nell’ambito di conversazioni fra altri”. LA TEMPISTICA. E i tempi del biscotto Fara-Penne? Il fatto è di maggio, il processo a dicembre con sentenza diffusa mentre il Penne entra in campo ad Alba Adriatica…. Una sentenza che fa acqua da tutte le parti, insomma. LEGGENDO L’ESPERTO GRASSANI. Sostiene l’avvocato Mattia Grassani, bolognese, uno dei massimi esperti in materia di diritto sportivo e calcistico in particolare. “Quanto alla prova dell’illecito sportivo la Corte di appello federale ha affermato che lo stesso deve essere provato oltre ogni dubbio e che si debba giungere ad un giudizio di proscioglimento degli addebiti in presenza di indizi di reità non caratterizzati da precisi e concordanti elementi probatori. Si sconfina in tal modo nel nebuloso campo delle presunzioni al quale si è ispirato anche il legislatore statale per disciplinare il reato di frode sportiva”. LA RESPONSABILITA’ OGGETTIVA NELL’ILLECITO A PERDERE. Ma c’è di più. Grassani spiega la questione della responsabilità oggettiva della società (nel caso il Penne ora penalizzato di due punti), nell’illecito sportivo. “Ciò non può voler dire-scrive l’avvocato di Bologna-che l’organo giudicante perde ogni potere di graduazione nella pena, dovendo automaticamente trasporre nei confronti della società oggettivamente responsabile il giudizio di disvalore effettuato nei confronti del tesserato. E questo soprattutto va escluso ogni coinvolgimento nella materiale causalità dell’accaduto non essendo in alcun modo materialmente riferibile il fatto imputato alla stessa società in cui anzi la compagine di appartenenza, oltre a non conseguire alcun vantaggio, è risultata in definitiva danneggiata sotto molteplici aspetti dalla condotta perpetrata dal proprio tesserato”.

Berardo Lupacchini

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