Donatella Di Pietrantonio e la via del cinema. Dopo il festival di Roma, “L’arminuta” vedrà la sua prima mercoledì sera al cinema Massimo di Pescara. E’ il film che trasforma in immagini e dialoghi, dando cioè nomi e volti, un romanzo carico di significato firmato dalla scrittrice pennese di adozione, attesa in sala. Un’opera che ha con molta disinvoltura e brillantezza superato la prova a suon di applausi prolungati del festival del cinema di Roma. E c’è di più: la pellicola del regista Giuseppe Bonito sarà fra quelle che potrà rappresentare l’Italia agli Oscar; la commissione speciale designerà il titolo, fra i diciotto scelti, il 26 ottobre. In ogni caso, dopo la proiezione pescarese, il film da domani sarà ospitato nelle principali sale nazionali. Una festa non proprio completa tuttavia, pensando a quello che poteva essere e non è stato, cioè le riprese che non hanno visto protagonista l’Abruzzo cuore del romanzo. Quell’Abruzzo che però non è attrezzato a sostenere operazioni culturali di questo tipo e che rischia con ogni probabilità di restare fuori anche in futuro dalla trasposizione cinematografica o televisiva, se ne sarà una fiction, di “Borgo sud”, l’ultimo lavoro di Donatella Di Pietrantonio che ha voluto in questo modo dare un seguito de “L’arminuta”, premiato con il Campiello nel 2017. Alla Festa del Cinema di Roma, il film è stato presentato come una storia di resilienza al femminile. Ambientata nell’estate del 1975 durante la quale una ragazzina di tredici anni viene restituita alla famiglia a cui non sapeva di appartenere, la giovane protagonista, interpretata da Sofia Fiore, quattrodicenne di Vasto (nel cast anche Vanessa Scalera, Elena Lietti e Fabrizio Ferracane) che all’improvviso perde tutto della sua vita precedente: una casa confortevole e l’affetto esclusivo riservato a chi è figlio unico. Da un mondo moderno viene catapultata in un mondo estraneo, rurale e arcaico. E così l’arminuta, ovvero ‘la ritornata’ nel dialetto abruzzese, accompagna il pubblico in questo viaggio in cui è provato il senso di abbandono per scoprire quello di appartenenza. Il film, come il romanzo, racconta un anno di vita di una ragazzina alle soglie dell’adolescenza, un periodo che segna la sua vita per sempre, in cui sperimenta il dolore e la durezza, ma anche l’amore, la dolcezza e la bellezza a tratti feroce che la vita riserva. In questa esperienza l’arminuta non è mai da sola: c’è la sorella minore di cui non conosceva l’esistenza. “Da lei ho appreso la resistenza. Or ci somigliamo meno a tratti, ma è lo stesso il senso che troviamo in questo essere gettate nel mondo. Nella complicità ci siamo salvate”. Attraverso il loro rapporto brilla dunque la forza femminile, il tentativo assai dignitoso di superare le difficoltà e di crescere insieme con l’amore e il sostegno reciproco. “Oggi davvero ignoro che luogo sia una madre…”, fa dire la Di Pietrantonio all’arminuta che sottolinea: “Ero figlia di separazioni, parentele false o taciute, distanze”. E ancora:”Non hai colpa se dici la verità. E’ la verità che è sbagliata”. Berardo Lupacchini