IMPRONTE ROSSE
Il processo alle BR per il carabiniere D’Alfonso: l’accusa apre i laboratori

I reperti, per quanto pochi, hanno parlato e continuano a farlo. Nel processo per l’omicidio dell’appuntato pennese Giovanni D’Alfonso per mano delle Brigate rosse nel fallito sequestro dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia (4-5 giugno ’75), all’esame della corte d’Assise di Alessandria ci saranno 37 impronte utili per capire meglio le posizioni di Lauro Azzolini, Mario Moretti (nella foto) e Renato Curcio, imputati per la morte del 45enne militare padre di tre figli.

Delle 37 impronte rilevate all’epoca su alcuni reperti quali il memoriale, recapitato a Curcio per descrivergli tutte le fasi drammatiche del rapimento sfociato nella misteriosa fine anche della consorte Margherita Cagol, undici sono state attribuite dal Ris di Parma a Lauro Azzolini (che assunse l’identità anche di Mario Lupo). Altre dodici sono state registrate su fogli manoscritti e buste per corrispondenza che costituirono la richiesta di riscatto per un miliardo di lire giunta al figlio dell’avvocato Gamna di Torino, in cinque di esse è stata vista la mano di Giuseppe Arienti, l’identità rubata allora da Pier Luigi Zuffada che è comunque deceduto qualche settimana fa (in ogni caso prescritte dal Gup di Torino le sue imputazioni per concorso anomalo nell’omicidio).

Altre due impronte sono state rinvenute su una macchina da scrivere Olivetti 82 e non identificate. Tre impronte sono state rilevate su una porta della cascina Spiotta di Arzello di Melazzo vicino Acqui Terme dove Gancia venne segregato per meno di 24 ore. Altre due sono sul volante del furgone Volkswagen utilizzato per trasportare l’ostaggio da Canelli alla cascina alessandrina. Sono gli unici elementi del tempo ripescati dal Ros dei carabinieri. Emilio Gatti, il procuratore della Repubblica di Torino che ha istruito il processo, ha spiegato di non disporre in banca dati del segnalamento palmare di Azzolini e del deceduto Zuffada. “Abbiamo chiesto alla corte una perizia che stabilisca di chi siano le altre impronte digitali e palmari trovate nel memoriale originale. Bisogna compararle con le impronte palmari e digitali, oltre ai campioni biologici, di Moretti, Curcio e ancora Azzolini, così come sulla macchina da scrivere recuperata in via Maderno a Milano e sul volante del furgone utilizzato dai sequestratori di Gancia”, ha dichiarato.

Azzolini, 82 anni, dissociato, ventisei anni di carcere scontati poichè individuato come responsabile di vari omicidi, ha confessato in aula di essere stato lui il brigatista che scappò dopo la sparatoria con i carabinieri guidati dal tenente Umberto Rocca (menomato per aver perso l’occhio e il braccio sinistri) nella cui pattuglia c’era D’Alfonso. Ma non ha confessato l’omicidio del militare. Nel memoriale che scrisse, attribuì infatti alla Cagol il colpo letale sparato dall’alto verso il basso. E’ un processo complicato.

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