CASO D’ALFONSO-GANCIA, DECISIONE IL 26 SETTEMBRE
La Procura chiede il processo per il nucleo storico delle Brigate Rosse

Ammesso che si celebrerà, sarà un processo soprattutto alla storia delle Brigate Rosse. Quella del sequestro Gancia infatti è una vicenda centrale: uccisa la Cagol e Curcio con i mesi contati, la guida dell’organizzazione passò subito dopo a un Mario Moretti sospettato fortemente di aver organizzato, gestito e commesso quel rapimento finito nel sangue e che è l’unico ad essere ancora in semidetenzione dal 1981, quando venne arrestato dalla Polizia dopo nove anni di latitanza. Il 26 settembre al tribunale di Torino la giudice delle udienze preliminari Ombretta Vanini deciderà sulla richiesta di processo per omicidio avanzata dalla procura della Repubblica nei confronti del nucleo che fondò le Brigate Rosse.

Quattro gli ex terroristi, ormai anziani e che hanno scontato la pena, che rispondono infatti dell’omicidio dell’appuntato pennese Giovanni D’Alfonso, commesso nel giugno ’75 nelle campagne di Acqui Terme dove si consumò il fatto. Si tratta di Mario Moretti, Renato Curcio, Pierluigi Zuffada e Lauro Azzolini, quest’ultimo indicato come il responsabile materiale dell’uccisione del carabiniere il quale il 5 giugno 1975 partecipò all’azione che liberò da un brevissimo sequestro per estorsione, e dopo una cruenta sparatoria mai chiarita davvero per le reticenze dei brigatisti e dell’apparato statale, l’industriale vitivinicolo di Canelli, Vittorio Vallarino Gancia. Oltre al militare, perse la vita anche Margherita Cagol tra le fondatrici, assieme al marito Curcio, delle BR. L’indagine é stata riaperta grazie alla presentazione di un esposto nel novembre del 2021 firmato da Bruno D’Alfonso, figlio della vittima.

“La Procura, con intuizione e fortuna, ha ricostruito dinamiche ed aspetti puntuali”, é il commento dell’avvocato Sergio Favretto che assiste Bruno D’Alfonso. “Chiediamo la verità, per questo ci aspettiamo che gli ex brigatisti ce la raccontino finalmente. E poi siamo disponibili a parlare con loro anche fuori dalle aule di giustizia”, commenta l’esperto giudice milanese in pensione Guido Salvini, quello delle numerose indagini sul terrorismo, che con Nicola Brigida completa l’assistenza legale dei D’Alfonso.

“Due anni e mezzo fa ho chiesto la riapertura delle indagini sull’omicidio di mio padre, ed ero comunque rimasto molto felice già solamente del fatto che la procura antiterrorismo di Torino avesse preso in considerazione la mia istanza”, é il commento di Bruno D’Alfonso. “Ero fiducioso sull’esito di queste nuove indagini ma non immaginavo che, al termine delle stesse, l’esito sarebbe stato positivo al punto da riaprire il processo. Soprattutto sono felice che, finalmente, sia stato dato un nome all’esecutore materiale dell’omicidio e che anche altri responsabili verranno giudicati per le loro condotte criminose per lo stesso reato.

Evidentemente gli elementi raccolti per la presentazione dell’istanza di riapertura e quelli emersi dalle indagini giornalistiche dei colleghi Simona Folegnani e Berardo Lupacchini hanno prodotto quei fattori determinanti che hanno spinto gli inquirenti nella giusta direzione. Per tutto ciò esprimo un ringraziamento sentito al procuratore Emilio Gatti”.

Si prevede comunque una durissima battaglia legale per l’utilizzo delle lunghissime ed invasive intercettazioni soprattutto di Azzolini le cui impronte digitali sono state registrate sulla relazione inviata a Curcio sei mesi dopo i fatti in cui chi fuggì gli narrò quei drammatici momenti. Azzolini, molto alto, chiamato in causa da alcuni pentiti, già era stato indagato e prosciolto per le stesse accuse nel 1987, ma il fascicolo si è perso ad Alessandria. Ottantenne, l’ex brigatista si dissociò dalla lotta armata nel 1987 dopo aver scontato 24 anni di carcere anche per l’omicidio di Aldo Moro e del vice questore di Biella Francesco Cusano nel ’76. In questo caso, la sua foto circolò senza barba su tutti i giornali, ma i carabinieri di Acqui ad un anno dal caso Gancia non lo riconobbero evidentemente. L’1 ottobre 1978 venne arrestato (con la barba) a Milano. In alcune intercettazioni, anche con il trojan, avrebbe ammesso di aver partecipato al sequestro Gancia. “Azzolini mi disse che vi prese parte, ma non alla sparatoria perché lui si era nascosto in un fosso. Gli inquirenti cercavano un altro…”, avrebbe dichiarato un teste dell’accusa.

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