“Domenica 12 Maggio, in tutta Italia sarà la trentesima edizione di Chiese Aperte, per conoscere un patrimonio culturale disseminato in città, paesi, contrade. Avremo grandi e piccole chiese, ma anche cappelle private, tutte ricche di un patrimonio artistico inestimabile che ancora oggi riesce a comunicare all’animo umano”. Lo ha affermato Fortunata Flora Rizzo, Vice Presidente Nazionale di Archeoclub D’Italia.
Tanti gli eventi in Abruzzo, “entreremo e visiteremo la cappella privata di Palazzo Corvi – Zazzara. La cappella privata si trova al piano nobile del Palazzo Corvi-Zazzara, che si estende su una vasta area del centro storico di Sulmona compresa tra corso Ovidio, vico del Vecchio, vico dell’Arco e via Roma. Il palazzo attuale, frutto di edificazioni successive, è contraddistinto da cinque unità: la prima, di origine cinque-secentesca – ha dichiarato la Rizzo – su vico del Vecchio; la seconda – adiacente alla prima ed aperta sul medesimo asse viario – ricostruita nella seconda metà del XVIII secolo, in seguito al terremoto del 1706 (è la porzione di fabbricato in cui insiste la cappella); la terza, più bassa, ricostruita nel secolo scorso; la quarta, costituita dal monumentale edificio ottocentesco che si affaccia lungo corso Ovidio e via Roma. Negli anni ’90 del Novecento gli ambienti del piano nobile del palazzo sono stati sottoposti ad un accurato restauro che ha consentito il recupero di gran parte della originaria decorazione settecentesca, costituita da stucchi, dorature e dipinti a tempera. Descrizione: La cappella si apre sulla sinistra di un piccolo vano con la volta ornata da una cornice centrale dorata a foglie di oro zecchino, che racchiude frammenti dipinti forse a tema mitologico o allegorico; l’interno della cappella, molto semplice, presenta un altare in pietra, al di sopra del quale è un dipinto raffigurante un Cristo Portacroce, mentre sulla destra si trova rappresentata una Madonna e sull’altro lato pochi resti pittorici non interpretabili.
Si entrerà anche nella cappella privata di Palazzo Mazzara, “la cappella privata si trova al piano rialzato del Palazzo dei Baroni Mazzara, al termine di via Mazara con l’ingresso principale nella piazzetta omonima, nei pressi di Porta Filiamabili – uno degli accessi della cerchia muraria altomedievale – ha continuato la Rizzo – e si estende fino a via M. D’Eramo dove, oltre ai giardini, erano le cantine e gli altri locali di servizio. Abbandonato all’inizio degli anni ’70 del secolo scorso, dopo la morte dell’ultima discendente del ramo baronale, e diviso in varie porzioni, il monumentale palazzo è stato ristrutturato in tempi recenti ed ora ospita una residenza per anziani. La cappella, che si apre su un corridoio di collegamento tra gli ambienti del piano nobile del palazzo, conserva ancora la ricca decorazione originale in stucco, sebbene si trovi in cattivo stato di conservazione e necessiti di interventi di restauro conservativo; il piccolo ambiente, oggi adibito a scopi non inerenti alle sue funzioni originarie, è chiuso da una cupoletta, nel cui tamburo si aprono dieci finestre intervallate da lesene accoppiate”.
Al palazzo Alicandro – Ciufelli, “la cappella privata si trova al piano nobile del Palazzo Alicandri-Ciufelli, che conserva le forme conferitegli dalla famiglia Zavatta di Pacentro nel corso della ricostruzione seguita ai danneggiamenti subiti nel terremoto del 1706. Passato alla famiglia Granata, fu poi acquistato nel 1819 dal sacerdote don Nicola Ciufelli che lo lasciò in eredità alla nipote Rosa Maria Ciufelli, sposata dal 1811 a Carlantonio Alicandri – ha affermato Fortunata Floira Rizzo – a patto che i suoi figli prendessero il cognome Ciufelli (da questo momento, quindi, la famiglia assunse il cognome Alicandri-Ciufelli). La facciata del palazzo si articola su tre livelli, che si caratterizzano per la diversa tipologia delle aperture e dall’apparato decorativo: al pianterreno si apre il portale d’ingresso ad arco incorniciato da lesene ioniche arricchite da specchiature e ribattute lateralmente con motivo di orecchioni di gusto tardo barocco; gli affacci del piano nobile, caratterizzati dall’alternanza di balconi e finestre, sono accomunati dall’elegante motivo di mostre modanate in pietra e dal timpano mistilineo con il motivo della conchiglia. Descrizione: La cappella si presenta come un piccolo ambiente voltato, con decorazioni pittoriche e plastiche e illuminato da una finestra sul lato destro; l’altare è sovrastato da una ricca cornice modanata, che ospita un dipinto raffigurante i santi Carlo Borromeo e Camillo de Lellis, datato 1839 e attribuito al pittore Raffaele Scapaticci (attivo alla metà del XIX secolo). Documenti storici attestano che la statua della Vergine, protagonista della storica manifestazione della “Madonna che scappa in piazza”, era custodita dalla fine del Settecento proprio nella cappella del palazzo e veniva trasportata nella vicina chiesa di San Filippo Neri all’alba della domenica di Pasqua per dar luogo alla sacra rappresentazione”.
Ma il 12 Maggio, in Abruzzo, a L’Aquila, ci sarà la grande opportunità di conoscere la storia di quattro chiese danneggiate dal terremoto del 2009 e non ancora riaperte! L’escursione sarà con un intero percorso che vedrà gli esperti, docenti anche di storia dell’arte, soffermarsi sul patrimonio culturale di tali chiese, proprio dinanzi alle stesse.
“A L’Aquila appuntamento con ben quattro chiese in quattro piazze diverse della città. Si tratta della chiesa di San Giusta, Santa Maria Paganica, San Marciano e San Pietro, nella speranza di vederle, a breve anche all’interno. La chiesa di San Giusta ha uno stile architettonico romanico e risale al XIII secolo – ha continuato la Rizzo – dunque con più di 800 anni di storia. La chiesa di Santa Maria Paganica, nel 1902, è stata dichiarata Monumento di Interesse Nazionale. Lo stile architettonico è romanico – barocco e la chiesa risale al XIII – XIV secolo. Purtroppo anche questa chiesa è stata danneggiata dal terremoto del 2009. La chiesa dei Santi Marciano e Nicando, risale sempre al XIII secolo ed è stata sempre danneggiata dal terremoto del 2009. C’è poi la chiesa di San Pietroi a Coppito che risale al 1254, stile architettonico gotico . romanico ed anche questa chiesa è stata danneggiata dal terremoto del 2009. L’auspicio è che con questi eventi, con escursioni aperte al pubblico, si possa accendere le luci sul patrimonio culturale che va assolutamente difeso e tutelato anche in fase di prevenzione, in particolare nelle aree a forte rischio sismico”.
In provincia di Pescara, “A Pianella, visita alla Chiesa extra moenia di Santa Maria Maggiore. E’ una delle principali opere del romanico abruzzese realizzata nella prima metà del XII secolo. L’originaria facciata a salienti è denunciata dalle caratteristiche arcatelle pensili in laterizio poste nelle navate laterali più in basso rispetto all’attuale copertura. Gemella della chiesa di S. Maria di Moscufo, anche se alterata dai tanti interventi nel corso dei secoli.
Al centro, il portale in pietra – ha proseguito la Rizzo – con arco a sesto acuto e lunetta affrescata, e il rosone, costituito da cornici concentriche decorate a rilievo, arcatelle concentriche e colonnine tortili a raggiera. La pianta è a tre navate terminanti con tre absidi semicircolari estradossate. Lo spazio interno, dominato dall’austerità della muratura di laterizio a vista, è scandito da colonne cilindriche e poligonali, con capitelli in pietra, su cui si impostano gli archi a tutto sesto.
Pareti e pilastri interno sono arricchiti dai resti di affreschi. Il bel portale ad arco ogivale, dall’architrave e stipiti intagliati con straordinaria esuberanza decorativa, ed il ricco rosone perfettamente conservato risalgono agli ultimi anni del XII secolo e sono probabilmente da attribuire al maestro Acuto che ha firmato l’ambone collocato in posizione insolita sulla parete interna sinistra. Notevole il pulpito del maestro Acuto, a cui è attribuito anche il portale”.
“A Catignano, paese di 1223 abitanti, visiteremo la Chiesa Abbaziale della Natività di Maria Santissima è meglio conosciuta come Chiesa di Santa Irene in onore della martire adolescente le cui reliquie, recuperate dalle catacombe romane di Santa Priscilla con parte del corredo, furono affidate nel 1834 a padre Enrico da Catignano. Non si conoscono dati precisi sui natali – ha osservato la Rizzo – e sull’epoca della morte della Santa.
La certezza del martirio risulta dal vasetto di sangue trovato ai piedi del corpo quando fu aperto il loculo ed il suo nome scolpito sulla tavola marmorea che chiudeva il sepolcro. La tavola con il nome IRENE la si può vedere su una parete della cappella dove il corpo di S. Irene, vestito elegantemente come usavano le nobildonne romane, riposa in un’artistica urna, costruita con le offerte dei devoti. Dall’esame delle ossa risulta che subì il martirio in giovanissima età. La chiesa e l’annesso monastero vennero fondati da monaci benedettini tra l’XI e il XIII° sec.; le prime menzioni le troviamo nel Chronicon dell’Abbazia di S. Bartolomeo di Carpineto della Nora.
Nel 1579 il convento fu affidato ai Padri Cappuccini, nel corso degli anni, vari vicissitudini portarono al decadimento del complesso monastico fino al 1936 quando un gruppo di Padri Amigoniani decise di far rivivere questo sacro luogo. La chiesa abbaziale, dichiarata nel 1950 Monumento Nazionale, è stata restaurata nel 1940 e nel 1950”.
“A Civitaquana, visiteremo la chiesa di S. Maria delle Grazie. L’impronta Benedettina le fu data da maestranze che alla fine del secolo XII o all’inizio, diffusero in Abruzzo il modello della Badia di S. Liberatore dove avevano lavorato:
pianta a tre navate e tre absidi semicilindriche con sette arcate per lato su pilastri – ha concluso la Rizzo – a Civitaquana si ebbero i pilastri sul lato nord, ma in origine dovevano esserci solo colonne su basi rozze di pietra. Somiglianze strette col modello sono anche sulla facciata, nonostante le semplificazioni nel numero dei portali, delle semicolonne e delle finestre. la chiesa è sempre stata retta da abati fino ai nostri giorni. L’abate Giovanni commissionò un ciclo pittorico rimanendoci solo la testimonianza preziosa del Cristo Pantocrator sulla lunetta della porta d’ingresso. Gli altri affreschi, di tipo devozionale, S. Martino vescovo e S. Michele Arcangelo.
Il campanile fu eretto dai Camponeschi e vi posero le loro insegne nel 1464. Nel 1498 l’Abate Bartolomeo I°, fece fare per il popolo, dallo scultore Paolo Dell’Aquila, la bella statua in terracotta di S. Maria delle Grazie, oggi al Museo Nazionale dell’Aquila.
A Penne, visita al Convento di Santa Maria di Colleromano. ll convento di Santa Maria Assunta in Colleromano ubicato nella città di Penne, è un esempio importante della compresenza della storia artistico-culturale e religiosa che abbiamo sul territorio.
Le vicende del complesso monastico ci sono tramandate in primo luogo dalla Corografia di Antonio Ludovico Antinori (XVIII secolo) e da Luigi di Vestea (XX secolo), che raccontano come la Chiesa originariamente distaccata dal Convento de’ Minori Osservanti Riformati – situata sul Colle Romano, era un sontuoso edificio, a tre navate, con archi “alla Gotica”, la quale venne fondata sulle rovine della più antica Chiesa di Santa Maria di Colle Romano. Su disegno dell’architetto Fontana, nel 1792, ne vennero assicurate la conservazione delle sculture medievali della porta. In origine si configurava come una fondazione cistercense che dalla regola di San Benedetto passò a quella francescana.
I conventuali intorno al 1575 vennero riformati (ne facevano parte gli zoccolanti, le clarisse e i cappuccini). La basilica conventuale, oggi scomparsa, vedeva al suo interno le sepolture di personaggi importanti. Con l’avvento di Napoleone gli Ordini religiosi, non essendo riconosciuti, abbandonarono l’edificio per poi ritornarvi. Qui inizia la storia della Chiesa dei riformati a Colleromano nell’Ottocento, con gli elementi medievali, rinascimentali e soprattutto barocchi. Tra i più importanti abbiamo l’altare ligneo ad arco trionfale datato tra Cinquecento e Seicento e la quadreria ospitata nel Museo e nella Chiesa. La facciata venne disegnata dall’architetto Domenico Fontana verso la fine del Settecento”.