L’ULTIMO PROCESSO ALLE BRIGATE ROSSE

Tutto rimandato al 30 ottobre alle 12 quando la giudice dell’udienza preliminare Ombretta Vanini deciderà se sul caso Gancia e l’omicidio del carabiniere pennese Giovanni D’Alfonso, da parte delle Brigate rosse, ci sarà un nuovo processo in corte d’Assise. Ieri ha respinto tutte le istanze che erano state presentate dalle difese dei quattro imputati all’epoca dei fatti esponenti di spicco delle Br, vale a dire Lauro Azzolini, Mario Moretti, Renato Curcio e Pierluigi Zuffada (nella foto), l’unico presente: tutti imputati di concorso in omicidio, mentre Azzolini è considerato il brigatista che il 5 giugno ’75 riuscì a sfuggire all’arresto da parte dei carabinieri della compagnia di Acqui che scoprirono non proprio casualmente il luogo in cui l’industriale Vittorio Vallarino Gancia era stato segregato per meno di un giorno.

Nella sparatoria che ne derivò, mentre erano in corso le sue ricerche, morirono l’appuntato 45enne dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, padre di tre figli adolescenti, e anche la brigatista Margherita Cagol, consorte di Curcio. “Avendo il gup respinto tutte le eccezioni che avevo riformulato e che ovviamente riformulerò al prossimo giudice – ha commentato Davide Steccanella, legale dell’ottantenne Azzolini – deduco che questo processo è un po’ l’opposto del matrimonio tra Renzo e Lucia, quello non si doveva fare, questo invece si deve fare. A questo punto lo faremo”. A far riaprire l’inchiesta da parte della procura di Torino l’esposto presentato nel 2021 dal figlio dell’appuntato, Bruno D’Alfonso, luogotenente dell’Arma in pensione coadiuvato dai legali Sergio Favretto, Nicola Brigida e l’ex giudice Guido Salvini. Ma soprattutto un libro d’inchiesta sul fatto.

La mole di intercettazioni, durate oltre due anni, disposta dalla procura della Repubblica di Torino pare inchiodare Lauro Azzolini, reggiano, il quale da dissociato ha già scontato ventisei anni di carcere duro; era stato comunque prosciolto nel 1987 dalle medesime accuse odierne, ma il fascicolo si è perso ad Alessandria. Si sarebbe lasciato andare ad autentiche ammissioni sul proprio ruolo alla Cascina Spiotta. “Azzolini mi disse che era lì, ma non partecipò alla sparatoria, perchè nascosto in una buca”, ha riferito un teste nelle indagini preliminari. Il ruolo di Zuffada ieri è stato al centro di una dura schermaglia fra accusa, difesa e parti civili. L’ex brigatista lombardo è ritenuto (ci sono le sue impronte) colui che consegnò la richiesta di riscatto pari a un miliardo di lire ai Gancia.

Zuffada, come Moretti e la Cagol, aveva partecipato tre mesi prima all’evasione di Curcio dal carcere di Casale Monferrato, tanto che per ricambiare il favore voleva liberarlo a sua volta. Il rapimento venne deciso per esplicita ammissione nei propri libri dal trio formato da Curcio, Cagol e Moretti. Quest’ultimo ha persino rivelato di aver gestito insieme alla Cagol le fasi del sequestro ed Enrico Fenzi, un pentito, ha raccontato nel 2017 alla commissione Moro che Moretti era odiato dal nucleo storico perchè riuscì con abilità a fuggire dalla cascina insanguinata, lasciando la Cagol ferita. Due brigatisti in fuga?Un mistero lungo quarantanove anni che appare destinato ad essere illuminato. 

Berardo Lupacchini 

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