IL SENTIERO DELLE ACQUE SACRE: UN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLE ANTICHE RITUALITÀ ABRUZZESI COLLEGATE ALL’ACQUA E AL CULTO DELLE GROTTE GALATTOGENE

La bellezza incontaminata delle montagne abruzzesi deve la meraviglia dei suoi scorci all’acqua. A questo elemento, in grado di modellare il paesaggio, è collegata una delle più interessanti tradizioni locali: il culto delle acque sacre e delle grotte galattogene. Secondo il credo popolare, queste sorgenti avrebbero delle straordinarie proprietà curative e, nel caso specifico delle fonti galattogene, la capacità di favorire la venuta del latte nelle puerpere.

La natura carsica del paesaggio abruzzese, ha infatti permesso all’acqua di scavare nella roccia numerosi ripari. Questi vennero abilmente sfruttati dagli eremiti e dalla Chiesa che li trasformò in veri e propri luoghi di culto, ammantando di un velo mistico le montagne d’Abruzzo. Il nostro viaggio parte da un esempio emblematico di tale processo: l’eremo di sant’Onofrio al Morrone (foto sopra), sede prediletta di Celestino V, il papa che “fece per viltade il gran rifiuto”, è tra gli eremi più suggestivi della regione.

A colpire non è soltanto il meraviglioso panorama che si può ammirare una volta raggiunta la vetta, ma soprattutto la grotta in cui Pietro Angelerio si ritirava in preghiera. La peculiarità di questo luogo è dovuta a due elementi: la nicchia scavata nella roccia dal corpo del santo e il trasudare d’acqua di una delle pareti. Secondo i più devoti, la natura divina di questa stillazione, renderebbe lo strofinare le mani sulla roccia umida un rimedio miracoloso per curare i reumi. Un consiglio personale: visitate l’eremo durante il weekend, in questo modo potrete fare la conoscenza del custode Stefano. Una vera istituzione.

È lui ad occuparsi, da circa cinquant’anni, della cura di questo luogo affascinante e a conoscerne tutti i segreti. La prossima sorgente di cui voglio parlarvi fa parte dei luoghi della memoria. Questa fonte, dai poteri curativi, ha sede a Pescosansonesco, dove scorre la polla di Riparossa. Si ritiene che le sue acque, grazie all’intercessione di San Nunzio Sulprizio, possano aiutare la guarigione degli infermi. All’interno del santuario, dove sono custodite le reliquie del santo, si possono infatti ammirare i numerosi ex-voto lasciati da coloro che sono venuti a chiederne l’intervento.

L’elemento a mio parere più suggestivo, però, è costituito dalla parete rocciosa che si estende dietro l’altare. È questa struttura semplice, ma radicata nel territorio a conferire una spiritualità genuina al santuario, rendendolo una manifestazione visiva del temperamento resiliente degli abruzzesi. Una passeggiata alla scoperta della “città vecchia” è il modo migliore per concludere la giornata. La tradizione popolare ritiene, inoltre, che queste acque miracolose, per poter mantenere le proprietà benefiche che le contraddistinguono, debbano essere prelevate in corrispondenza del giorno di morte del santo cui sono collegate.

 

 

 

Solo così potranno conservare la loro natura curativa ed essere utilizzate al momento del bisogno. Per completare la nostra geografia dei culti abruzzesi legati all’acqua, infine, farò riferimento alla tradizione popolare più suggestiva e interessante di tutte: quella delle grotte galattogene. Alle acque di questi siti è collegata una fase importantissima della maternità: l’allattamento. Un filone della tradizione prescrive di rivolgersi a Sant’Eufemia; per ottenere la sua intercessione, però, c’è uno specifico rituale cui attenersi: la madre a cui non è arrivato il latte, preso un pezzo di pane, dovrà recarsi al santuario. Qui troverà, poggiato sull’acquasantiera, del pane vecchio con cui sostituire il suo; dopo averlo bagnato nell’acqua benedetta ed averlo mangiato la donna dovrà compiere un giro intorno alla colonna lì accanto invocando Sant’Eufemia e pregando il latte di tornare.

Pochi giorni e il suo desiderio verrà esaudito. Un altro filone ritiene, invece, che ci si debba rivolgere a Sant’Agata e prescrive alle madri di bere l’acqua della fonte ad essa intitolata (situata fra Torricella e Gessopalena). Anche in questo caso le madri dovranno seguire un percorso ben definito: dopo aver raggiunto il luogo del pellegrinaggio portando con se un soldo e un chicco di nove varietà diverse di legumi, dovranno lanciare all’interno della sorgente i legumi e la monetina; solo a questo punto potranno tornare indietro. Sulla via del ritorno, però, dovranno stare attente a non seguire lo stesso percorso fatto all’andata, scegliendo una strada diversa.

Lungo la via si fermeranno in nove case chiedendo in ciascuna di queste un po’ di farina e, arrivate nella propria abitazione, la utilizzeranno per farne delle sagne. La pasta fatta in casa dovrà essere donata ai poveri; mentre per loro lasceranno il brodo di cottura. Solo dopo essersi nutrite di questo parco pasto, vedranno arrivare il latte. Insomma, quella delle grotte galattogene, è una tradizione che ci porta a riflettere su uno dei fenomeni più delicati e allo stesso tempo emozionanti nella vita di una donna: la maternità, riuscendo, nel contempo, a valorizzare le risorse di un territorio troppo spesso sottovalutato.

D’Andrea Veronica

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