L’unità d’italia passò anche da qui
L’anno 1814 viene ricordato nella Storia della nostra regione per la insurrezione che i carbonari inscenarono a Città Sant’Angelo per poi propagarsi a Penne, Castiglione Messer Raimondo, a Penna Sant’Andrea ed a Teramo. In tal modo i carbonari uscirono allo scoperto dai loro convenzionali segreti per operare apertamente.
L’insurrezione naturalmente impensierì il Re di Napoli Gioacchino Murat che dal suo quartier generale di Bologna diramò un ordine del giorno di questo contenuto:”Un piccolo paese all’estrema parte del Regno, Città Sant’Angelo in Abruzzo, si è spinto al funesto tentativo di richiamare i popoli alla libertà. Questo tratto di traviamento merita che sia noto all’armata ed il Re ha ordinato alla seconda divisione attiva di abbandonare immantinente le attuali sue posizioni militari e rientrare nel Regno per la via degli Abruzzi, onde reprimere quella violenza di movimento e di tumulto, e far rientrare tosto i traviati nell’ordine e nel dovere”. Da queste parole si evince quale preoccupazione avesse Murat, secondo il quale il tentativo di questi carbonari poteva degenerare e coinvolgere altre popolazioni del Regno. In tal modo egli adoperò le maniere forti per reprimere la rivolta a tal punto che furono condannati alla fucilazione ed alla successiva decapitazione a Penne, sede di distretto, il medico Filippo La Noce, il canonico Domenico Marulli e il capitano Bernardo De Michaelis di Penna Sant’Andrea. I primi due erano fra i capi del governo provvisorio di Città Sant’Angelo. Le loro teste mozzate furono esposte sulle porte di Città Sant’Angelo, mentre quella di De Michaelis a Penna Sant’Andrea perché servissero da esempio alle popolazioni. Condannati ai ferri furono l’agrimensore Toro ed il giudice Albi. Invece a Teramo tre furono i condannati a morte con la fucilazione: Carlo Zicoli di Teramo, Geremia Nicolini di Valle San Giovanni ed Ilario Vitelli di Montorio, tutti gendarmi del Re. Moltissimi carbonari furono rinchiusi nel carcere di Chieti, mentre altri riuscirono ad evadere rifugiandosi nel territorio dello Stato Pontificio, fra cui il pennese Domenico De Caesaris. Facendo un piccolo salto per arrivare ai moti del 1820-’21 troviamo che il deputato Michelangelo Castagna, durante l’adunanza del parlamento dell’1 febbraio 1821 ebbe a dire di quando l’esercito austriaco marciava verso il Regno “l’entusiasmo patriottico dei teramani è superiore ad ogni elogio; si può ben immaginare, descrivere non mai. Persino i giovani del seminario della città di Penne non seppero resistere alla voce della patria che chiama tutti alla comune difesa: sono essi corsi alle armi per unirsi all’esercito, tra le lagrime di gioia dei loro congiunti e tra gli applausi generali”. Possiamo aggiungere a ciò un’affermazione del generale Pepe, il quale in un rapporto al parlamento del 5 ottobre si esprimeva in questo modo:”Lo spirito veramente patriottico e l’entusiasmo che animano le legioni e le guardie nazionali rendono le montagne abruzzesi tutte fortezze inaccessibili e tremende per chi volesse attraversarne le gole”. Queste parole esprimono la grande fermezza dei nostri corregionali abruzzesi che difesero le loro terre con tutto il coraggio e la dedizione del caso. La Carboneria era penetrata persino nel campo ecclesiastico in provincia di Teramo, la quale allora si estendeva fino alle sponde sinistre del fiume Pescara. In un documento del vescovo di Penne, indirizzato al ministero degli affari ecclesiastici di Napoli, si leggeva che “su dodici canonici solo uno non era con certezza carbonaro: degli altri undici, due sospetti e nove sicuramente affiliati”. E tali carbonari erano per lo più giovani: solo pochi superavano i quarant’anni, due soli ne contavano sessanta ed erano Gennaro De Lassis di Picciano e Pietro Tedesco di Pianella. Qualcuno toccava anche gli anni settanta, come Sebastiano Ciccone e Fulgenzio Lattanzi di Teramo. Molti patrioti considerati carbonari nel 1820-’21 erano stai ritenuti colpevoli verso lo Stato nel 1799 ed avevano congiurato nel 1814. Allo stesso modo molti di essi furono presenti nei moti del 1831 e durante la insurrezione mazziniana del 1837 a Penne. Quell’anno i patrioti vestini trovarono il momento più propizio e senza dubbio più maturo rispetto al 1814 per dar vita alla rivoluzione, repressa ancora nel sangue: sono passati alla Storia come i Martiri Pennesi gli otto fucilati a Teramo dall’esercito borbonico. Così i cittadini dell’Abruzzo si prepararono a rendere libera ed indipendente la nostra regione e l’Italia tutta.
di Giuseppino Mincione