COSI’ PARLO’ ALESSANDRINI Terroristi e delinquenti comuni. Le carceri. Lo Stato. Ecco cosa il magistrato pennese disse al Csm prima di morire ucciso e dopo l’omicidio di Moro

PESCARA – “Vorrei esaminare il problema delle connessioni fra criminalità comune e criminalità politica dall’angolo visuale del ruolo dell’istituzione carceraria e tentare di dare una delineazione del controllo sociale dei movimenti politici.

Istituzione carceraria come momento di trasformazione del detenuto politico in comune e da comune in delinquente politico..  Come esperienza personale di magistrato a Milano, che ha seguito diverse istruttorie di processi politici, ho potuto notare che esiste questo dato: di persone che entrano in carcere, per qualche episodio di intolleranza politica, escono e poi, dopo qualche tempo, le ritrovi denunciate, arrestate per reati sicuramente comuni. E viceversa”. Sembra di ascoltarlo un giovanissimo Emilio Alessandrini, appena 36enne sostituto procuratore della Repubblica da dieci anni a Milano, che interviene come relatore durante i lavori organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura fra il giugno ed il luglio del 1978, cioè a un mese dal sequestro e dall’assassinio di Aldo Moro, sulla lotta alla criminalità organizzata: ora alcuni atti che lo riguardano sono stai desecretati dall’organo di autogoverno della magistratura.  Il 29 gennaio 1979 Alessandrini, originario di Penne, alle 8,30, dopo aver accompagnato nella scuola elementare di via Colletta, Marco, suo figlio di 8 anni, oggi sindaco di Pescara, viene raggiunto, all’altezza di un semaforo fra viale Umbria e via Sacco da una tempesta di fuoco. A sparare è un commando di Prima Linea, un’organizzazione terroristica di estrema sinistra molto attiva alla fine degli anni ‘70. Un agguato al quale prende parte una banda armata composta da Marco Donat Cattin, figlio del ministro democristiano, Sergio Segio, Umberto Mazzola, Bruno Russo Palumbi, Michele Viscardi, tutti condannati all’ergastolo. E’ il primo magistrato ucciso a Milano: al suo funerale, in piazza Duomo, si conteranno ben duecentomila persone fra le quali Sandro Pertini, presidente della Repubblica. Al Csm così si esprime Alessandrini a qualche mese dal suo omicidio:  ”Abbiamo già sbagliato in passato: esistono i gruppi della lotta armata per il comunismo che, in quanto tali, non sono più recuperabili ad un discorso di prevenzione; per loro c’è solo un problema di repressione. Bisogna però rimuovere le cause che ne favoriscono l’ampliamento ed il ricambio ed è perciò necessario recuperare ad un discorso istituzionale le fasce di non dissenso o addirittura di consenso alle imprese terroristiche fornendo in concreto l’immagine di una società che può essere cambiata rispettando realmente e lealmente le regole democratiche del confronto”. Il pensiero di Alessandrini è in buona sostanza questo: “Le carceri speciali vanno benissimo per far fronte ad un’emergenza, se invece diventano norma rischiano di creare, in tempi nemmeno troppo lunghi, più danni di quelli cui hanno rimediato. La soluzione è la creazione delle strutture per rendere attuabili i principi e gli scopi della riforma carceraria che segue i criteri della prevenzione e della difesa sociale: gli unici che possono assicurare un ordinato esplicarsi della vita civile nella libertà provvedendo al controllo sociale dei movimenti che emergono. Ma è anche un dato di fatto che i detenuti delle carceri speciali prima o poi escono, vuoi per decorrenza termini della carcerazione preventiva, vuoi perché magari assolti, vuoi per espiazione della pena. Escono e si portano dietro tutta la esperienza accumulata, accentuando la tendenza a diventare delinquenti comuni dopo essere stati politici ed a diventare politici dopo essere stati comuni”. Emilio Alessandrini in quell’intervento si spinge oltre:  ”Personalmente,  proporrei una discussione sull’utilità di emanazione di norme che creino una barriera dinanzi all’area del terrorismo come quella di estendere l’obbligo della denuncia che l’articolo 364 del codice penale prevede a carico del cittadino per i delitti contro la personalità dello Stato punti con l’ergastolo anche a quelli con pena inferiore come la banda armata, associazione sovversiva. Si darebbe così maggiore individuazione penale alla sfuggente figura del cosiddetto fiancheggiatore che attualmente sfugge a qualsiasi sanzione…”.

Berardo Lupacchini   

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