Per GUIDO CONTI Ufficiale e Gentiluomo

Il jeeppone avanzava nella nostra direzione, lungo il grande viale alberato, con le ventole (i lampeggianti..) spente. La scarsa luce dei lampioni non ne lasciava intravedere d’acchito i colori della livrea. “E chi sono questi?” interrogò, tra l’incuriosito e lo stizzito, Guido. “E che ne so io? Se non lo sai tu che conosci i meandri della greppia pubblica, come posso saperlo io?

L’ufficiale della Forestale mi frustò con uno sguardo di bonario ma severissimo rimprovero. Era un uomo delle istituzioni e non ne tollerava la critica dissacrante, pur conoscendone approfonditamente limiti, enormi manchevolezze e attitudini anche inconfessabili. Intanto, la fiancata del jeeppone attraversò i nostri sguardi svelando l’“appartenenza” di quel mezzo. Scrollò la testa, senza commentare. Per galateo, anch’io mi tacqui. Pensò, certamente, con fastidio, alle risorse lesinate nelle sue essenziali e non dirado rischiose attività, anche perché assorbite da impieghi discutibili come quello c’era appena transitato davanti. L’episodio di quella serata romana, occasionata dalla sua partecipazione a un corso, manifestava, nel suo piccolo, la personalità di Guido Conti. Austero, intransigente, inflessibile ma capace di srotolare su questo letto d’indefettibili premesse di “chiarezza”, una grande umanità, un sensibile tatto e un gentilissimo tratto. Ci conoscemmo, un paio di decenni fa, in Abruzzo, a Sulmona, quando era a capo del locale Comando della Forestale. E sull’Abruzzo ci scambiavamo battute, in quel dopocena, a Roma. Un uomo, Guido Conti, distante dalla mia idea di relazione con lo stato che lui “serviva” (“con onore”) e io reputo un “servo” dei “sovrani”, i cittadini. Un “servo” troppo spesso indisciplinato, arrogante, iniquo, opportunista, strutturalmente organizzato per profittare dei cittadini, usati come fattori, coloni, e anche peggio. Ma ammiravo Guido Conti per la sua estrema coerenza, ciò che me lo rendeva prezioso come pochi, perché, mi capitò di dirglielo, il peana della legalità è persino controproducente se non nobilitato, intanto, dall’esempio delle istituzioni che, invece, sono le prime a mortificarla e, poi, anche dalla ragionevolezza, sensatezza, chiarezza delle sue disposizioni, spesso, invece, insulse ed esse stesse criminogene. Una teoria, del resto, vecchia di millenni. “La fede senza le opere è morta”, tuonava S. Paolo. Contravvenire, dunque non “operare” secondo i precetti della legalità, dopo averla rivendicata fideisticamente come valore in sé, rende “morta” quella predica, specie da parte delle istituzioni pubbliche. Ovviamente, Guido Conti non aveva bisogno di lezioni; meglio di molti altri, per il suo lavoro, riscontrava, ictu oculi, la miserevolezza dello stato e le infinite contraddizioni della “Legge”, in tutte le sue declinazioni. Tra le quali annoverò la “fusione per incorporazione” del Corpo Forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri. Ne soffrì molto benché, per contrappasso, proprio nell’Arma avesse iniziato la carriera da ufficiale per poi compierla nel CFS, quello del padre. Esternò le ragioni del suo dissenso persino al presidente del consiglio, Renzi, superando le remore di chi forse non era ancora “uso ad obbedir tacendo”. “Al sentire Ella decretare con animo lieto e assoluta misconoscenza, lo scioglimento di una istituzione benemerita bisecolare e carica solo di dignità, abnegazione ed efficienza, mio Padre è morto due volte. Ed insieme a lui decine di migliaia di uomini che nella nostra Missione, perché tale è lo spirito che ci anima, hanno creduto e credono. E questo non posso permetterlo. Senza battermi fino in fondo. Perché trionfino equilibrio e buon senso. Me lo chiedono la Sua memoria e la dignità di uomini e donne che hanno creduto e credono in quello che fanno. A volte fino al sacrificio della propria vita”. Così, scrisse a Renzi, giusto un anno fa. Anche quelle parole e specialmente la visione del ruolo, espressa dal termine con cui lo descrisse: “Missione”, sintetizzavano la speciale personalità di Guido Conti che, ancor più duro, così ammoniva Renzi: “..Rifletta, Sig. Presidente, unitamente magari a qualche Suo cattivo consigliere. Perché tra l’altro Ella sta tagliando l’unica fdp con il bilancio in pari. Che non costa nulla. E non ha debiti. Al contrario di infinite e voraci partecipate regionali e statali ad esempio, o dei tanti carrozzoni sacche di sperpero e sottopolitica ..Le cose buone non si gettano, soprattutto le poche rimaste. Si migliorano, si accudiscono e fortificano. A maggior lustro della Nazione, ed in amore e in difesa delle cose più belle e sacre del Creato. E dei fratelli Italiani. Io e i miei collaboratori Le auguriamo tutti di cuore buon lavoro. E migliori consigli. Viva il Corpo Forestale. Viva l’Italia”. Da anni, non avevo più avuto occasione d’incontrarlo né di sentirlo, essendo il nostro rapporto limitato all’occasionalità degli incontri. Immutata, però, rimaneva l’ammirazione per due sue precise doti. La coerenza, come detto, testimoniata, insieme a un raro coraggio, dalla lettera a Renzi, e la vivissima intelligenza. Due doti basilari (il resto è accessorio) in chiunque, specie se rivesta ruoli di grande responsabilità. Guido Conti era un coerente (e, dunque, irreprensibile) e intelligentissimo uomo, anche delle istituzioni. Uno dei pochi che, per autorevolezza morale, potesse parlarne con la I maiuscola. Un gentiluomo dall’espressione austera e arcigna ma dallo sguardo buono. Quando, di recente, su facebook, invitò i malfattori a compiere “bene” le loro malefatte se non volevano farsi sorprendere da quelli come lui pronti a fiondarsi su di loro, quasi m’accinsi a commenti sarcastici sulla visione sceriffesca del suo ruolo. Me ne distolsero la sua figura, l’interpretazione genuinamente esaltata della sua “Missione”, il pensiero del coinvolgimento profondo nelle vicende che viveva, come attesta il suo forte turbamento per la tragedia di Rigopiano. In fondo, mi dissi, se di Guido Conti fosse pieno il mondo tutto sarebbe più chiaro e più giusto o, plagiandolo, più “equilibrato”. L’auspicio è che i suoi letali tormenti non siano beffardamente maturati nel mondo da lui “servito”! Ora che, improvvisamente, s’è sottratto all’affetto dei suoi cari, alla benevolenza dei suoi amici e all’ammirazione dei suoi estimatori, sappiamo che il nostro mondo migliore non è. E, nella speranza che lo sarà, irrompe un singulto pensando alla sua famiglia, la moglie e le due figlie, repentinamente private di una presenza fondamentale e di un bene preziosissimo. A loro, la migliore solidarietà umana. Alla sua memoria, l’omaggio cordiale e più deferente. “Onoratemi” ha chiesto. Abbiamo così, indegnamente, inteso farlo. Riposi in pace, nella beatitudine eterna.

Giovanni Cutilli

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