PENNE – Il futuro dei punti nascita in Abruzzo è nelle mani dei venti esperti nominati ieri dal presidente Luciano D’Alfonso: medici, infermieri, ginecologi, ostetriche, rappresentanze della cittadinanza e funzionari regionali.
Saranno loro a dover stilare la relazione con cui il prossimo 20 novembre la Regione si presenterà al monitoraggio ministeriale, ultimo passaggio, probabilmente, per decretare l’uscita dal commissariamento. Il lavoro del tavolo, che si riunirà per la prima volta il 5 novembre, però, non è semplice perché gli interessi in campo, specie politici, sono tanti. Dall’altra l’ineluttabilità dei numeri. Innanzitutto il decremento delle nascite (10.194 nel 2013 e in ulteriore calo per l’anno in corso) che costringe l’Abruzzo ad una dieta dimagrante di almeno tre punti nascita. Sulla lista dell’assessore Paolucci ci sono già quelli di Penne, Atri e Ortona e un quarto, che resta un’incognita, che è quello di Sulmona. Non che il capoluogo peligno abbia performance migliori, anzi, ma dalla sua il Santissima Annunziata ha il fatto di essere al centro di un bacino, povero di numeri, ma che presenta distanze considerevoli e un’orografia complessa. «Saranno i tecnici a dover valutare se pesa più la distanza o la qualità del servizio – spiega Paolucci -. Una cosa è certa la riorganizzazione dei punti nascita è inevitabile, perché ce lo chiede il ministero e perché è necessario garantire standard di sicurezza adeguati». E a giudicare dai numeri, questi standard, non sono rispettati in nessuno dei 12 punti nascita attualmente esistenti, con casi estremi che fanno piombare l’Abruzzo in coda alle graduatorie nazionali. In Abruzzo, ad esempio, solo due ospedali superano i mille parti annui (Pescara con 2.037 e Chieti con 1.497) e quattro (quelli minacciati dalla chiusura) sono sotto i 500. Solo a paragone: nel nord Italia il 90% dei parti avvengono in strutture che sfornano più di mille bebè l’anno. E non è differenza da poco, visto che proprio la «familiarità» all’intervento è alla base delle sicurezza dello stesso. Alta, troppo alta, poi, è la incidenza dei parti cesarei (tra l’altro i più costosi) che in Abruzzo rappresentano il 38 % dei casi (la media italiana è di molto più bassa), con Penne e Sulmona con i record negativi (58% e 51% rispettivamente) e Chieti che segue a ruota (45%). In relazione all’attività effettivamente svolta, poi, a non raggiungere una dimensione efficiente in termini di posti letto equivalente sono 7 reparti di ostetricia e ginecologia su 12 (Vasto, Val Vibrata, Lanciano, Atri, Ortona, Penne e Sulmona). Tre, invece, gli ospedali che in questi reparti spendono più della media (11 euro al giorno) in farmaci, con il picco di Chieti (19,10 euro), Sulmona (14,30 euro) e L’Aquila (14 euro). «La riorganizzazione dovrà tenere conto di più fattori – continua Paolucci – entro il 20 ci faremo un’idea, anche se le scelte definitive verranno prese nel giro di un anno e mezzo, quando cioè avremo verificato la possibilità di mettere in sicurezza i singoli punti nascita, anche in rapporto alla rete emergenze. Vale la pena solo di ricordare che l’Abruzzo per conservare tutti e 16 i presidi ospedalieri così come sono, dovrebbe avere circa 5 milioni di abitanti». Insomma secondo il patto per la salute contenuto nel decreto nella nostra regione ci sarebbero il triplo delle strutture necessarie.(ilmessaggero)