I giudici hanno ribadito che la tragedia di Rigopiano avrebbe potuto essere prevenuta con un’adeguata pianificazione e gestione del rischio. Secondo la sentenza, il sito avrebbe dovuto essere classificato come zona a rischio valanghe ben prima del disastro, il che avrebbe potuto portare a restrizioni nell’uso della struttura, come la chiusura in inverno o il divieto di accesso.
L’atto è stato depositato tre mesi e una settimana dopo la sentenza che il 3 dicembre 2024 aveva accolto in parte le richieste della procura generale e aveva chiesto l’appello bis per 10 imputati, sei sono dirigenti regionali. Su di loro l’impostazione dell’appello “non è condivisibile, né in astratto, né in concreto”. Più avanti, citando la sentenza a sezioni unite 38343 del 18 settembre 2014, la Suprema Corte osserva che occorre guardarsi “dall’idea ingenua, e foriera di fraintendimenti, che la sfera di responsabilità di ciascuno possa essere sempre definita e separata con una rigida linea di confine”. Eppure nei tre gradi di giudizio, fino ad oggi, si è assistito proprio a un rimpallo costante.
Prescrizione in agguato
Ma le famiglie delle 29 vittime continuano a temere la prescrizione. Lo avevano ricordato anche qualche giorno fa, dispiaciuti perché allo scadere dei tre mesi le motivazioni non erano state depositate. Che cosa devono aspettarsi ora? Romolo Reboa – avvocato che assiste fra l’altro Marcello Martella, il papà di Cecilia, l’estetista di 24 anni rimasta uccisa con colleghi e turisti – commenta a caldo: “Prendo atto che la sentenza della Cassazione apre la strada per le richieste di risarcimento dei danni in sede civile nei confronti della Regione Abruzzo e della Provincia di Pescara e che la Suprema Corte non ha assolto i dirigenti provinciali, ma ha affermato che il ragionamento seguito per la condanna nella sentenza della Corte d’Appello si è illogicamente discordato dalla sentenza del Gup di Pescara. Sicché la posizione degli stessi deve tuttora essere valutata sul metro degli accertamenti seguiti dal primo giudice”. Vede quindi “elementi positivi per ristorare almeno sotto il profilo economico le famiglie delle povere vittime”.
La strada provinciale 8
La strada provinciale 8, ricorda la Suprema Corte, era l’unica via di fuga per clienti e dipendenti dell’hotel, il video di Silvana Angelucci – tra le vittime con il marito – è rimasto nel cuore di tutti, le auto in fila davanti a un muro di neve. Se la strada fosse stata liberata, scrivono i giudici, “gli eventi morti e lesioni non si sarebbero verificati”.
Wania Della Vigna, legale che assiste la famiglia di Sara Angelozzi, resta “cautamente ottimista”. Il disastro colposo si prescrive in 15 anni, ricorda. Insomma, c’è ancora tempo. Ora i faldoni di Rigopiano dovranno essere trasferiti a Perugia per l’appello bis. Ma “il problema di fondo – annota l’avvocato Maurizio Sangermano – oggi non è tanto l’accertamento delle responsabilità ma cercare di arrivare in tempi utili a emettere una sentenza definitiva”. Soddisfatto l’avvocato pennese Federico Bianchi (nella foto sotto) che ha seguito Andrea Marrone, consulente dell’hotel per la sicurezza sul lavoro.