PROCESSO ALLE BRIGATE ROSSE
Caso Gancia: alla sbarra Moretti, Curcio ed Azzolini, 50 anni dopo

Le ombre del sequestro Gancia avvolgono ancora le Brigate Rosse che affronteranno l’ultimo processo per omicidio della loro storia dal 25 febbraio 2025 davanti alla Corte d’Assise di Alessandria. Renato Curcio, Mario Moretti e Lauro Azzolini per quello che accadde dopo la liberazione dell’industriale Vittorio Vallarino Gancia nell’Alessandrino risponderanno dell’uccisione del carabiniere pennese Giovanni D’Alfonso, 45 anni in quel 5 giugno 1975 e padre di tre bambini.

Faceva parte della pattuglia di Acqui che, guidata dal tenente Umberto Rocca rimasto gravemente ferito e composta da Rosario Cattafi e Pietro Barberis in borghese, scoprì non casualmente dove l’imprenditore era stato segregato dal pomeriggio del giorno precedente e per il cui riscatto le Brigate Rosse avevano già chiesto un miliardo di lire. Esce invece dal procedimento per prescrizione (concorso anomalo in omicidio) Pierluigi Zuffada: eppure le sue impronte sono state rilevate sulla richiesta di riscatto per un miliardo consegnata all’amministrazione dell’azienda vitivinicola. Un processo davvero straordinario, quello che si annuncia in quell’Alessandria dove Azzolini tuttavia venne già prosciolto con formula piena per le medesime accuse nel 1987 e dopo dieci anni di inchiesta: il fascicolo che lo riguarda però si è perso durante l’alluvione del ’94.

La tenacia dei figli dell’appuntato di Penne hanno portato a questo risultato. In particolare, è stato Bruno, luogotenente dell’Arma a riposo, che nel 2021 ha presentato l’esposto alla procura della Repubblica di Torino. “Il processo permetterà, ne sono certo, di restituire dignità alla memoria di mio padre”, commenta. L’accusa da allora ha intercettato, e non solo, con un trojan Azzolini le cui impronte sono state riscontrate nel memoriale scritto dal brigatista fuggito clamorosamente: sarebbe lui. Il dibattimento che si aprirà illuminerà una delle vicende chiave nella storia della formazione eversiva. Gancia era tenuto prigioniero di sicuro da Margherita Cagol, la moglie di Curcio, uccisa in una situazione rimasta oscura dopo che si era arresa al fuoco difensivo dei carabinieri. Mario Moretti e Renato Curcio risponderanno della stessa accusa di omicidio, in concorso: quel sequestro per loro stessa ammissione nei rispettivi libri di memorie lo idearono e lo gestirono.

“Moretti era alla Spiotta: la sua fuga diede origine all’odio che alcuni brigatisti del nucleo storico nutrivano nei suoi confronti”, rivelò il pentito Enrico Fenzi alla commissione parlamentare su Aldo Moro.

Il libro “L’invisible” ha alimentato l’inchiesta torinese scoprendo che in quei mesi le Brigate Rosse erano infiltrate da un operaio di Mestre, Leonio Bozzato, la fonte Frillo del servizio segreto militare del tempo, il Sid, che sei mesi dopo permise l’arresto definitivo di Curcio e di Nadia Mantovani. Davide Steccanella, legale di Azzolini, parla di una farsa: “Un processo del tutto nullo, ma s’ha da fare”. Le parti civili, e cioè l’ex giudice Guido Salvini, Nicola Brigida e Sergio Favretto, rispondono pacatamente: “Il processo esprime un desiderio certo non di vendetta, ma di verità e di giustizia”.

Secondo i pubblici ministeri torinesi, Ciro Santoriello ed Emilio Gatti, che hanno coordinato le indagini del Ros, ad aprire il fuoco sarebbe stato Azzolini, successivamente fuggito dalla cascina. I tre imputati, tutti ottantenni o quasi, rischiano l’ergastolo, ma solo sulla carta avendo alle spalle sei fine pena mai (Moretti è ancora semidetenuto dal 1981), mentre Azzolini di anni di prigionia ne ha 26 già scontati grazie alla dissociazione dopo gli ergastoli inflittigli per Aldo Moro e l’omicidio del vice questore Francesco Cusano, a Biella. Curcio invece, dopo 18 anni di prigionia, è libero dal ’93.

Berardo Lupacchini 

Articoli correlati

Pin It on Pinterest

Share This