STATI UNITI, 1946 “Da Stettino sul Baltico, a Trieste sull’Adriatico una cortina di ferro è calata sul Continente”. Le parole di Churcill tuonano tracciando, per l’Occidente, la politica del contenimento nei confronti dell’Unione Sovietica. Cominciano gli anni della Guerra Fredda, e nonostante la successiva caduta del Muro, la cortina di ferro permane, rivendica territori e avanza sul lato orientale. Le lotte sociali che, dal dopoguerra, in poi si sono succedute per la conquista dei diritti appaiono pause di illusione, i risultati, concessioni che cadono dall’alto. Le immagini di guerra di questi giorni rappresentano un’ulteriore presa di coscienza: non siamo certo liberi.
Questo è il distopico mondo occidentale, siamo ancora dalla parte giusta della storia? La gestione del Covid, l’infodemia, la fragilità di una società, quanto abbiamo perduto nella dolcezza, nello spirito di umanità. È la scienza a dominare le menti, non più la filosofia o le arti umanistiche: la bellezza dell’uomo viene così offuscata dalla sterilità dei numeri e i bollettini giornalieri ne danno conto. Con il precipitare degli eventi nell’est Europa e a seguito delle decisioni del governo italiano, accolte con scrosci di applausi, un vento ancor più gelido potrebbe abbattersi sul Paese. Atmosfere simili, vissute nella paura sospesa della catastrofe, altro non alimentano che l’individualismo umano, divisioni e maggiori distanze.
Secondo pensatori e giornalisti odierni il problema più grave sarebbe quello del riscaldamento, ma nessuno che abbia da ridire sul gelo che da tempo ci avvolge. I cittadini sono ormai chiusi in se stessi, paralizzati dalla paura, nascondono l’anima dietro un bavaglio che dovrebbe proteggerci. E allorché lo si cerchi con lo sguardo, non c’è alito d’amore, non più la possibilità di scaldarsi avvolti dal calore del focolare umano. Questo è il freddo che paralizza, il freddo dello spirito, ancor prima di quello terreno. Ha prevalso l’etica individualista, e le politiche occidentali, mosse solo da una globalizzazione ormai palesemente fallita, hanno distrutto tradizioni e diritto all’autodeterminazione dei popoli in favore di una logica finanziaria incurante degli interessi nazionali. Da questo mondo folle che alimenta riduttive fazioni tra buoni e cattivi, trovo rifugio nei fotogrammi in bianco e nero de “Il dottor Stranamore”, abbandonandomi alle note della colonna sonora che precede il momento dell’esplosione. Quelle parole sembrano voler infondere nuova speranza al genere umano: “We’ll meet again, don’t know where, don’t know whene, but I know we’ll meet again some sunny day” (ci rivedremo, non so dove, non so quando, ma so che ci rivedremo in una giornata di sole). Io l’aspetto quella giornata di sole!
di Virginia Chiavaroli