Una tre giorni all’insegna dell’arte contemporanea ha coinvolto un ampio pubblico presso lo Spazio Matta a Pescara, dal 24 al 26 novembre, nell’ambito del Programma della PCM per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie della città di Pescara.
Intervista doppia ad artefici e protagonisti di questa nuovo progetto di arte contemporanea in uno spazio, quello del Matta, che si conferma punto fermo per la creatività pescarese.
Cominciamo da Marcella Russo
Quando, e grazie a chi, nasce il progetto Matta Arte Contemporanea?
Mi sono sempre occupata di progettazione, organizzazione e comunicazione di arte contemporanea. Mi sono formata organizzando il progetto FUORI USO, ideato dal gallerista Cesare Manzo; ho lavorato all’organizzato delle edizioni dal 1990 al 2003 durante le quali sono passati la maggior parte degli addetti ai lavori del mondo dell’arte internazionale. Format riiconosciuto negli anni per innovazione e qualità dei contenuti che negli anni ha ospitato centinaia di artisti, curatori, critici internazionali ed emergenti. Nel 2018 sono entrata a far parte della RETE ARTISTI PER IL MATTA che gestisce dal 2012 lo SPAZIO MATTA. La rete unisce varie associazioni che si occupano di linguaggi culturali legati al contemporaneo, teatro, danza, musica, con appuntamenti sporadici relativi alle aerti visive. Nel 2020 ho proposto alla rete, guidata dalla Presidente Annamaria Talone, la nascita di #MAC_ MATTA ARTE CONTEMPORANEA con la mia curatela, con l’obiettivo di creare anche una senzione specifica dedicata proprio all’arte contemporanea.
Quali sono le prospettive future e gli obiettivi principali di questa iniziativa culturale?
La prospettiva è quella di creare un punto di riferimento attrattivo nell’ambito della ricerca, produzione e promozione delle arti contemporanee in linea con altre esperienze d’eccellenza. I progetti saranno realizzati in collaborazione con realtà e istituzioni culturali di livello nazionale ed internazionale, con una forte aderenza alle esigenze dello Spazio Matta e con particolare attenzione alla partecipazione della comunità locale.
Si chiama #SPOTLIGHT focus sui temi e i linguaggi dell’arte contemporanea, questo primo appuntamento e primo progetto di #MAC. Quale sarà il focus del l’iniziativa?
Questo primo appuntamento, #SPOTLIGHT#1, ha ospitato Michele Giangrande, un artista che si occupa di arte pubblica e che vanta esperienze importati in tutto il mondo. Durante la sua breve residenza a Pescara, l’artista ha avuto chiara l’immagine del progetto che di lì a poco sarebbe diventato ABYSS, la performance che abbiamo presentato venerdì 26 novembre. Giangrande ha trovato nello Spazio Matta il luogo ideale ed il contenitore adatto ad accogliere il terzo episodio della sua Tetralogia degli elementi. Quando l’artista mi ha raccontato la visione alla base di questo episodio dedicato all’elemento acqua, ho accettato la sfida di un’esperienza immersiva che fosse altamente coinvolgente anche per il pubblico.
E allora ascoltiamolo e conosciamolo Michele Giangrande, nato a Bari nel 1979, studi artistici presso l’Accademia di Belle Arti, già docente di Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro e docente di Tecniche Pittoriche all’Accademia di Belle arti di Lecce. Attualmente insegna Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Bari.
Questa tre giorni è iniziata con la proiezione di due tuoi video: uno è “Odissea Dandy” girato nel 2015 e promosso dall’Apulia Film Commission in collaborazione con la Fondazione Pino Pascali Museo d’Arte Contemporanea e arTVision, in cui ti conosciamo nel tuo atelier a cielo aperto, fatto di luoghi e oggetti della sua terra d’origine. Quanto di quello che abbiamo visto nel video porti nella tua esperienza artistica odierna?
La ricerca di un artista è sempre in continua evoluzione, o involuzione. Cresce e si modifica così come avviene per tutto ciò che conosciamo. Gli oggetti ci accompagnano sin dai primi istanti della nostra vita, diventando accostamento cromatico di porzioni solide, matericità magmatica pronta a farsi veicolo di una ricca gamma di proposizioni dialettiche. Sono portatori sani di ricordi, sensazioni ed emozioni lontane, rievocano concetti, diventano simboli: siamo abituati a vederli, toccarli, utilizzarli e dimenticarli. Nascono, vivono e muoiono come noi. Con noi. La caducità del tempo, che mina alle basi la speculazione sull’eternità dell’arte e la memoria collettiva. L’arricchimento mentale contro il possesso feticistico e la latenza nella fruizione del pensiero palingenetico.La mia ricerca materiale attinge da sempre da un vasto universo oggettuale, un mondo di mercatini, ipermercati, botteghe, scantinati e depositi mescolato ai miei ricordi d’infanzia, di un tempo in cui mi costruivo da solo i giocattoli per averne sempre di nuovi. Oggi le mie opere rispecchiano la mia vita, che è una recherche infinita di obiettivi, una continua definizione di traguardi e stati d’animo, una cifrata misurazione, spesso inconscia, di tutto quello che ci attraversa. E poi c’è l’enigma del domani e tutto ciò che mi riserverà, ma per questo, come direbbe Duchamp, “non c’è soluzione perché non c’è problema”.
L’altra è l’opera video “The Hyperzoo”, film scritto e realizzato in occasione di una tua performance avvenuta all’interno del MACRO ASILO nel 2019 durante la quale hai coinvolto i visitatori del museo divenuti parte attiva e coautori dell’opera. Ci puoi raccontare come questa esperienza performativa abbia influito sul tuo processo creativo?
Tutto è nato dopo aver ricevuto l’invito dell’allora direttore del ribattezzato MACRO Asilo, Giorgio De Finis, a partecipare a quelle esperienze espositive denominate Atelier. Lo spirito e la volontà della proposta erano quelle di “trasferire”, per una settimana, lo studio dell’artista all’interno di camere di vetro con l’obiettivo di condividere l’intimità del proprio laboratorio e il conseguente processo creativo con la dimensione pubblica del museo. La pratica degli Atelier, dal mio punto di vista, anche se sono assolutamente certo non fosse questo lo scopo, metteva l’uomo/artista “sotto osservazione” e mi ricordava un po’ ciò che avveniva con gli zoo umani, chiamati anche esposizioni etnologiche. Queste pratiche pubbliche del XIX e XX secolo, in cui si mettevano in mostra esseri umani “esposti” solitamente in un cosiddetto stato naturale o primitivo, furono molto criticate in quanto altamente degradanti e razziste.In sostanza, le pareti di vetro che delimitavano la stanza illusoria, in cui avrebbe dovuto operare l’artista, apparivano ai miei occhi come dei limiti invisibili e deboli che avrebbero ceduto agli sguardi insistenti e voraci degli spettatori desiderosi di “entrare” in quella dimensione, non solo in senso fisico o visivo, ma soprattutto sociale, psicologico, emotivo. Dopo Bunker, la terra, l’opprimente isolamento nella stanza di vetro riportava a un forte senso di asfissia, di claustrofobia, ed io ne soffro, ed immediatamente capii che fosse giunto il momento per mettere in atto il secondo capitolo della Tetralogia degli elementi, a cui da tempo stavo, e sto, lavorando, dedicato all’aria. Scelta che, allargando il ventaglio di interpretazioni e considerando la condizione mondiale in termini di inquinamento, apparve più che mai appropriata e attuale. Non avrei mai immaginato quanto ancor più calzante sarebbe risultata, di lì a sei mesi, quando un virus si sarebbe propagato su scala mondiale, usando come canale preferenziale, proprio la via aerea. E, conseguentemente, quanto avremmo desiderato tornare a stare all’aria aperta e quanto l’aria del pianeta si sarebbe ripulita dopo le limitazioni e restrizioni.
Iniziò così a prendere forma dentro di me l’idea di un’operazione “totale” che avrebbe ambiziosamente contenuto in sé quante più forme d’arte possibili viaggiando in varie dimensioni spazio temporali: un’operazione metamorfica, esperienziale, multisensoriale, installativa, accessibile, performativa, collettiva, partecipativa, inclusiva e processuale. Sono anni che lavoro in questo senso quindi questo progetto più generare vere e proprie influenze sul mio processo creativo ha portato tante conferme -talune anche assolutamente inaspettate Infatti The Hyperzoo oggi è stata esposto e premiato in più di 100 occasioni tra mostre e festival in tutto il mondo: dalla Cina al Brasile, dalla Russia fino a tutta l’Europa per raggiungere l’Italia.
Venerdì scorso Spazio Matta si è aperto al pubblico con l’opera immersiva ed esperienziale ABYSS, come hanno reagito gli spettatori?
“ABYSS”, terzo capitolo della “Tetralogia degli elementi” è dedicato all’elemento acqua: è stato, come i precedenti, un intervento titanico per la sua conformazione stratificata e multisensoriale, ma soprattutto perché si è manifestata come atto unico e irripetibile.Il pubblico come sempre non delude mai. L’atmosfera rituale e per certi versi surreale, ha proiettato i visitatori in un viaggio mistico attraverso una realtà sospesa. Complici gli aspetti legati al suono, gli odori, le luci, le proiezioni e la performance, il pubblico è entrato letteralmente a far parte dell’evento, caratteristica fondamentale di tutto il progetto al quale ABYSS appartiene.
Ci puoi raccontare l‘opera che hai restituito alla comunità?
Sulla facciata del MATTA ho installato un’opera nata col progetto BUNKER: un monito rassicurante, scritto sulla pietra, “SIATE CALMI! / QUI SIETE GIA’ AL SICURO!” – riproduzione fedele della targa murale risalente alla Seconda Guerra Mondiale e rinvenuta nel bunker del Monte Soratte a Sant’Oreste, in provincia di Roma. Quest’opera si è evoluta nel tempo come un’installazione diffusa. È infatti presente in maniera permanente già in numerosi luoghi nei quali assume particolari e nuovi significati, tra cui ad esempio la Cascatella della Valle Oscura, Geoparco Aspromonte (RC), Bunker Museum di Monopoli (Bari) e ovviamente all’ingresso del mio studio.
Che rapporto hai instaurato con la città di Pescara, dalla tua prima esperienza di residenza a quest’ultima tre giorni di arte e condivisione e quale risposta hai avuto dal pubblico?
Ho sempre avuto un ottimo rapporto con la città di Pescara. Ho diversi amici con cui spesso collaboro per svariati motivi, quindi posso dire di non essere “nuovo” della zona. La risposta del pubblico è stata a dir poco eccezionale. Un’affluenza degna di nota, una partecipazione seria e composta, rispettosa del mio lavoro e di quello di tutta la squadra. L’entusiasmo e i feedback successivi, estremamente positivi, hanno coronato poi il tutto. Infine, sia io che la troupe che ha girato il documentario del progetto “ABYSS”, siamo stati accolti in maniera davvero eccezionale. Posso solo esserne grato.
Valeria Ribaldi