PESCARA: LA SESTA GIORNATA DANNUNZIOWEEK SI CONCLUDE CON QUEL MONELLO DI UN MALINCONICO MORGAN
Nel pomeriggio proiettato all’Aurum il documentario di Velemir Grcic

La giornata numero 6 della Festa della Rivoluzione – Festival dannunziano chiude con due appuntamenti che registrano grande affluenza di pubblico: all’ Aurum Pescara – La fabbrica delle idee è stato proiettato, in anteprima mondiale, “L’Aquila di Fiume”, il documentario dello sceneggiatore croato Velimir Grgic. Il soggetto della narrazione è la testa dell’aquila che svettava sulla torre civica della città di Fiume. L’originale manufatto, ritrovato negli archivi del Vittoriale, è stato esposto nel corso della proiezione del documentario. La presentazione è stata preceduta dalle parole dello storico Federico Carlo Simonelli, responsabile dell’Ufficio Fiume Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” e autore del libro “D’Annunzio e il mito di Fiume. Riti, simboli, narrazioni” che  ricostruisce simboli e rappresentazioni che permisero a D’Annunzio di trasformare una città dalle molte anime in un mito che ha influenzato a lungo il modo di intendere la politica e la storia dell’Alto Adriatico.

Lorenzo Sospiri e Federico Simonelli

La sera, nella Pescara ammaliata e rapita dalle luci della città che tremano sul mare, ci si è spostati tutti al Teatro d’Annunzio per “altri racconti” in musica di Morgan e la Medit Orchestra.  Lorenzo Sospiri, al lato del palco, si intrattiene con il consigliere Domenico Pettinari. Sorride soddisfatto il presidente e ne ha tutte le motivazioni: il suo Festival procede a gonfie vele, il botto iniziale che aveva accompagnato l’entusiasmo delle prime serate è diventato, nel corso degli appuntamenti, fuoco d’artificio di stelle e fontane. 

Il pubblico al teatro d’Annunzio

A fare l’ingresso per primi sul palco sono i ragazzi della Medit Orchestra accompagnati dal  maestro Angelo Valori. È lui a spiegare che sono tutti allievi e neodiplomati del Conservatorio – intitolato, tra l’altro, alla mamma di Gabriele, Luisa d’Annunzio – così come tutti i brani che eseguiranno con Morgan saranno arrangiati dai giovanissimi diplomati del Corso di composizione pop- rock del Conservatorio – unico in Italia-  e che, con questo progetto vengono valorizzati e proiettati verso il futuro: loro sono Elio De Pasquale, Pierfrancesco Speziale, Cristiano Corradetti, e Matteo Passarelli.

E poi arriva, Marco Castoldi in arte Morgan, il ragazzo terribile della musica italiana, tanto genio, tanta sregolatezza dietro la quale però senti tutta la malinconia di chi il mondo un po’ lo soffre: è il filo sottile che attraversa i testi dei brani che presenta al pubblico, a partire da Cieli neri come “ricordi chiusi in te, la tristezza dentro me” o la meravigliosa versione di Altrove dove iil testo poetico rivela tutto il talento dell’artista milanese, ho deciso di perdermi nel mondo anche se sprofondo, lascio che le cose mi portino altrove non importa dove, fino all’interpretazione del brano di Luigi Tenco Il mio regno di cui capiamo la scelta ricollegandola proprio a quel regno chiesto ad un amore in Cieli neri e all’abbandono finale della versione di Tenco se non m’avessero detto mai che le fiabe son storie non vere ora là io sarei, e poi alla resa finale ne Il cattivo destino, cattivo con chi ama tutto tranne sé.

Coinvolgente e struggente Morgan al pianoforte, ma come i mari calmi che incontrano il vento, all’improvviso torna ad essere il discolaccio irriverente che prende La pioggia nel pineto e trasforma Ermione nell’attributo intimo e solitario del poeta, gioca con i simboli e le parole, le dissacra e le ricompone e mentre percepisce lo scemare dei sorrisi freddi degli spettatori eccolo pronto, con la voce profonda ed arrochita da qualche sigaretta di troppo, ritornare come funambolo a far tremare i polsi recitando a memoria i versi del I Canto dell’Inferno di Dante.

”Lui è così” sussurra qualcuno tra il pubblico, lui è così, un po’ dannunziano, un po’ futurista, come le sue mani sul pianoforte sono il giusto compendio dell’hashtag del festival: #ritmovelocitàmovimento. Accelerano, si intrecciano, si aggrappano alle note, spingono il corpo a mezz’aria, poi si placano e tornano piume sul bianco e nero. I meravigliosi ragazzi dell’Orchestra si divertono e lo seguono. Il brano di chiusura, che vale come bis concesso a priori risparmiando al pubblico il cliché del “Fuori, Fuori”, è Arrivederci di Umberto Bindi e appare più una promessa tra lui e loro che un saluto a noi, tanta la sua inclinazione a vivere ‘per’ e non ‘di’ musica.

Sabrina De Luca 

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