29 Aprile 2006, 15 anni senza…Edoardo Valentini chiude gli occhi dopo aver lottato contro la più inqua delle battaglie, l’unica che gli uomini come lui possono perdere. Perché non sono sfide combattute ad armi pari. Sembrano passati mille anni da quando le cronache dei giornalisti Orlando D’Angelo e Franco Farias annunciano che muore il Re dei vini, alla sola etá di 73 anni. Lacerba gli dedicò la copertina ed un desolato Arrivederci Maestro.
Vorremmo già cancellarle queste poche righe, don Edoardo rifuggiva talmente la retorica del buonismo tout court che ci chiediamo se omaggiarlo in questo anniversario, significherebbe già vederlo storcere il naso.
“Quando noi viviamo, la morte non c’è. Quando c’è lei, non ci siamo noi”
Ma anche in questo lui è riuscito a superare la filosofia socratica ed epicurea, non c’è vita e non c’è morte. Fermando il tempo ha messo in pratica quello che il percorso dell’intelletto aveva riconosciuto come verità: essere un transfert della supremazia della terra.
In questo la sua figura si è contraddistinta, in questa lezione del chiamare le cose nel loro significato primigenio, senza tanti infingimenti.
Oggi è facile intercettare i temi della Green economy, parlare del rispetto della integrità della natura, farlo 50/60 anni fa significava sfidare le leggi del vento. Presumere la modernità dell’uomo Vitruviano di Leonardo oggi appare scontato e falsamente rappresentato persino in una fiction televisiva, non lo era quando nel produrre vino si cominciava ad evocare tutt’altro. Così nell’immediatezza della riflessione, ci chiediamo se in tal modo possa essere interpretata quell’etichetta da sempre uguale che riproduce, nella posizione, la centralità dell’uomo nobile dalle origini ispaniche che indossa l’armatura del guerriero in difesa del vigneto e affonda scarponi da contadino nel terriccio. Un arcaico avatar che da carne diventa icona. Chissà, forse omaggio al suocero, l’architetto Leonardo Palladini, profondo conoscitore degli studi vitruviani e colui che rivela, al giovane Edoardo, il rapporto aureo tra fascinazione e vinificazione.
Specifico anche il rapporto con Loreto Aprutino, suo paese natale ma soprattutto contea che accoglie il primo ramo della dinastia risalente a Giovanni Battista Valentini, nel XV secolo.
Tra Edoardo e Loreto il rapporto era ottimo, si comprendevano fino a compenetrarsi nello scambio reciproco di malinconia che trasformava l’uomo nel burbero occasionale, l’altro rassicurato nel consegnare le zolle madri alla cura delle sue mani.
In questa onesta relazione Valentini è riuscito a costruire un mito, come scrive Farias, ma anche ad imbottigliarlo. Lo ebbi chiaro quando 20 anni fa, in occasione di un’organizzazione di una cena con dei famosi giornalisti, uno di loro mi propose un patto “ Rinuncio al mio rimborso se mi fa avere una bottiglia di quel meraviglioso Trebbiano Valentini”. Non c’era l’e-commerce né Amazon a soddisfare desideri, l’orgoglio raccolse la raccomandazione poetica, come una notte con Marilyn, un autografo di Sinatra, la registrazione della voce di Maria Callas. Edoardo era vivo ed era nel mito, una sua bottiglia qualcosa da desiderare. Nell’involucro di vetro non c’era il territorio, concetto diventato altamente insidioso nel marketing odierno, chi beveva il suo vino sapeva di avere a che fare con IL Valentini e non agognava certo di venire a scoprire altro di Loreto Aprutino.
Il sacro ed il profano del paese si spogliavano velocemente tra lingua e palato. Però c’era la terra, quel vino miracoloso nasceva lí, nei parchi di montepulciano e trebbiano dove Eolo, Giove e Apollo giocavano a rincorrersi sotto lo sguardo del vignaiolo, una bàlia che metteva al sicuro le viti dalle intemperanze ludiche e dispettose. Il mito lí nasceva e trasmigrava. Si spiega perché nel 2019, esattamente il 15 luglio, gli fu dedicato un parco nel cuore della Garbatella a Roma. Giusto così: il legame era con la terra e non con il territorio, era la terra che lo ripagava del nettare e quel rapporto esclusivo è diventato un archè di forza che regola il mondo, a Roma come a Parigi. Oltre la filosofia presocratica, il segreto dei segreti.
E se Francesco Paolo riesce, con le modalità dei tempi moderni, a non scalfire il mito vitruviano è perché di quel segreto è custode eletto, fortunato per trasmissione genetica, bravo nella resistenza. Che è un processo estremamente faticoso, generatore di forti nostalgie e refrattario alle malíe futili della comunicazione spesso schizofrenica dei social, ma caspita signori, è dell’Olimpo che stiamo parlando! Il resto sta diventando noia. Era già noia per Edoardo tutto quello che si allontanava dal vero: non lo aveva inventato lui ma intercettato, ponendosi nella parte della nave più scomoda, se la navigazione è breve. Ma nel lungo tragitto, ti permette di imparare ogni increspatura dell’oceano, di vedere fondo e superficie, l’orizzonte è solo una linea da superare. Come quando alzi il calice contro luce e sai che il chiaro e lo scuro occupano lo spazio dall’inclinazione. Sarebbe bastata, per il territorio, una brutta copia piuttosto che la pervicacia nell’ allontanarsi da un principio che era proprio qua, a portata di naso: bastava copiare il metodo Valentini per costruire un paradiso terrestre piuttosto che arrendersi sconfitti e traghettarci nell’oblio dell’identità. È il territorio che doveva essere alla sua altezza, Re Edoardo e Regina Terra avevano già assicurato la prosecuzione della specie. Nel 1968 nasceva il d.o.c. Montepulciano d’Abruzzo.
Mi perdonerà, don ‘Duà, se non ho parlato di barrique o di botti dei legni bianchi, dei mille riconoscimenti avuti, di gusto e retrogusto, seguo la Vostra sapienza, hanno scritto di tutto e di più, e meglio di me. Metteteci che non capisco nulla di vini e mi ubriaco con facilità ma quando il caro Camillo D’Angelo mi ha ricordato che erano già passati 15 anni dalla Vostra morte, mi sono fatta trascinare dal pensiero del tempo, che Voi non avete mai perso, anche quando avete insegnato a Francesco che si doveva stare fermi perché l’annata non era buona. Non era tempo perduto. E quanto, invece, ne dovremo ritrovare noi per concederci il lusso della memoria che riempiamo e svuotiamo ma che non fermiamo mai veramente, magari inclinando l’orizzonte. E chissà se Vi piaceva Proust, don ‘Duá!
S.d.L.
ndr: la foto dell’articolo è di Andreas Waibl- Edoardo Valentini conferisce ad un appuntamento di Sagra&Profano, agosto 1996